Settimana Autentica. Tra le braccia di Cristo

La riflessione che ci introduce alla Settimana Santa, quella che noi ambrosiani chiamiamo “Settimana Autentica”, è incentrata sulla preghiera di Gesù all’Orto del Getsèmani, partendo dalla versione del Vangelo di Luca (Lc 22,39-46), con l’aiuto di un capolavoro di Andrea Mantegna: l’Orazione nell’orto.

tempera su tavola, cm. 71 x 94 – Musée des Beaux-Arts, Tours, Francia
“39[Gesù] Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. 40Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». 41Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: 42«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». 43Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. 44Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. 45Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. 46E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».”
A differenza degli altri due sinottici – Matteo e Marco, che raccontano l’episodio in modo quasi identico – Luca introduce delle varianti assai interessanti che stimolano la nostra riflessione.
Tutti e tre gli evangelisti mettono il passo di Gesù che si apparta nell’Orto degli Ulivi subito dopo l’annuncio del rinnegamento di Pietro («questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte»: Mt 26,34; cfr. anche Mc 14,30 e Lc 22, 34). Ma qui finiscono le analogie e iniziano le differenze della versione lucana.
Nei primi due Vangeli Gesù esordisce parlando di scandalo («Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo»: Mt 26,31; «Tutti rimarrete scandalizzati»: Mc 14,27), mentre nella versione lucana il Maestro pone l’accento sulla tentazione ammonendo Pietro con queste parole: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno» (Lc 22,31-32). E solo Luca, subito prima, cita un’altra volta il demonio: «Allora Satana entrò in Giuda» (Lc 22,3).
In Matteo e Marco solo tre apostoli – Pietro, Giacomo e Giovanni – sono presenti con Gesù, il quale dice loro: «restate qui e vegliate» (Mt 26 38; Mc 14,34); Luca racconta, invece, che tutti i discepoli lo seguirono e, di nuovo, sottolinea l’importanza della preghiera per vincere la tentazione: «Pregate, per non entrare in tentazione».
Nei primi due sinottici, alla fine della sua preghiera Gesù sembra rassegnarsi alla debolezza dei suoi discepoli («Dormite pure e riposatevi»: Mt 26,45 e Mc 14,41); al contrario, nel terzo evangelo Egli sembra arrabbiarsi con loro e li rimprovera («Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione»: Lc 22,46).
Solo in Luca, infine, ci sono – sia subito prima che durante il racconto del Getsèmani – continui richiami alla lotta. Sono, soprattutto, singolari i versetti 43-44 del capitolo 22: «Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra». E sono proprio questi versetti che ci vengono mostrati nell’opera del Mantegna.
Insieme a una sua seconda tempera su tavola custodita alla National Gallery di Londra, l’Orazione nell’orto conservata nel Musée des Beaux-Arts di Tours è una delle sue migliori prove giovanili, caratterizzata da un ampio respiro prospettico e da una solenne monumentalità. Le due opere mantegnesche furono realizzate quasi in contemporanea con un altro dipinto con lo stesso titolo, del veneziano Giovanni Bellini e sempre conservata nella pinacoteca londinese, tanto che non è possibile stabilire l’esatta cronologia delle tre opere.
La tavola di Tours – commissionata da Gregorio Correr, abate della basilica di San Zeno a Verona, prima del 1457 – mostra Cristo inginocchiato in preghiera di fronte a uno sperone roccioso, simile a un altare. Lo sguardo profondo è rivolto a un angelo che, sulla destra, si materializza da una nuvola (chiara citazione giottesca) mostrandogli un calice, simbolo eucaristico della Passione. Pietro, Giacomo e Giovanni dormono vicino a lui. Sullo sfondo, si dispiega un vasto paesaggio minuziosamente dettagliato. Il paesaggio è arido, giocato su colori terrosi, caldi. Dei verdeggianti ulivi del Getsèmani si intuisce solo la presenza. Un tronco spoglio, quasi fosse presagio di morte, domina, sulla sinistra, il luogo in cui Gesù prega. La scena mostra un cielo albeggiante, con grandi nuvole arruffate e illuminate da una luce dorata, il colore del divino. Da Gerusalemme, la città sull’altura, si sta avvicinando un drappello di soldati, guidati da Giuda, che sembra addirittura incitarli.
Evidenti alcuni aspetti tipici dello stile mantegnesco: l’uso di linee dure e intense, di colori accesi e contrastanti e di una luce nitida e tagliente, che concorrono a creare atmosfere sospese e suggestivamente emozionali; le sorprendenti vedute prospettiche e la verità dei paesaggi; la definizione dei particolari, di gusto prettamente fiammingo; il vigore monumentale dei corpi e le muscolature aspre e secche; l’espressività, talvolta quasi violenta, dei volti.
Si osservi, a questo proposito, l’intensità del volto di Gesù e la forza che emana dal suo sguardo. Specialmente in contrapposizione con l’incarnato terreo dei discepoli che dormono – soprattutto di quelli al centro e a destra – e con il lucore della veste del discepolo di sinistra, quasi fosse il sudario di un cadavere. Il Mantegna sembra volerci far riflettere sulla distanza profonda tra il Maestro, che soffre, lotta, ha paura e suda sangue, e gli apostoli che, invece, non sanno resistere al sonno; sonno che diventa simbolo di morte. Da una parte, quindi, Gesù, che accetta l’amaro calice della morte («non sia fatta la mia, ma la tua volontà»: v. 42b) per dimostrarci, però, che essa – il male più grande – non avrà l’ultima parola e che il venerdì della croce trova il suo compimento nella Pasqua di Resurrezione; dall’altra, i discepoli che tradendo e rinnegando il Maestro scelgono, scappando, di vivere (nessuno, se non le donne, sarà ai piedi della croce, nonostante i proclami coraggiosi e le promesse di fedeltà) e di non seguirlo sulla via della croce, e che qui, nel Getsèmani, cadono in un sonno tanto simile alla morte.
Tanti sono i simboli presenti nell’opera. L’albero secco in primo piano presagisce la morte imminente; i germogli sulla sua sommità preannunciano la resurrezione. In basso a sinistra, il delizioso dettaglio del coniglio sul ponticello allude alla vita che continua attraverso la creazione di nuove generazioni (oltre a fare riferimento alla doppia natura – umana e divina – del Cristo, poiché questi animali presentano il pelo bruno in estate e bianco in inverno). Gli spezzoni degli alberi che spuntano sullo sfondo simboleggiano il peccato. Sulla strada che scende da Gerusalemme vi è una sorta di corrimano fatto con rami che là dove vengono intrecciati rammentano la corona di spine che i soldati porranno sul capo di Gesù.
Come detto, è solo nel Vangelo di Luca che l’episodio di Cristo al Getsèmani – trasposto dal Mantegna nella tavola di Tours – sembra diventare la conclusione del passo inerente alle tentazioni di Gesù, là dove l’evangelista scrive: «Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato» (Lc 4,13). Sembra essere proprio nell’Orto degli Ulivi il “momento fissato” perché Satana – il nemico, l’avversario – sferri l’ultimo attacco al Signore. Ed è anche il momento in cui Gesù sperimenta su di sé – insegnandola ai suoi discepoli – la potenza della preghiera. L’ovvio richiamo è alla lotta notturna di Giacobbe con l’angelo, di cui abbiamo parlato due settimane fa. E così come Giacobbe accetta, alla fine della lotta, di arrendersi consegnandosi inerme a un Dio che gli dona una nuova realtà, frutto di conversione e di perdono, anche Gesù, dopo essersi confrontato con la volontà del Padre e aver tentato di imporre la sua («Padre, se vuoi, allontana da me questo calice!»: v. 42a), alla fine cede. Come scrisse il gesuita spagnolo Luis Alonso Schökel: «La sua forza sta nel sottomettersi e accettare. Allora, per un’azione celeste, gli si raddoppiano le energie ed entra nella lotta, senza lasciare Dio, anzi incalzandolo ancor di più con la forza tenace della preghiera. La lotta provoca sudore come di sangue».
L’insegnamento di Luca nel raccontarci Gesù nell’Orto del Getsèmani è che le tentazioni fanno parte della nostra quotidianità, e che da esse il cristiano non può sottrarsi se non riconoscendo la propria debolezza, che vince proprio quando giunge a consegnarsi nelle mani misericordiose di Dio. La lotta della nostra vita di fede può essere affrontata solo riconoscendo che abbiamo bisogno di un Altro e ricorrendo all’aiuto della preghiera.
Da soli non possiamo che finire per imitare Pietro, Giacomo e Giovanni – che pure erano stati testimoni della resurrezione della figlia di Giàiro e della Trasfigurazione: nel momento più impegnativo della lotta, dormono profondamente invece di rimanere desti per chiedere aiuto a Dio (significativo è il verbo greco usato da Luca al versetto 43 per descrivere l’azione dell’angelo: “ἐνισχύω”, “enischúō”, traducibile con confortare, rendere forte). Da soli avremmo, come Pietro, la presunzione di essere come il Maestro («Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte»: Lc 22,33), se non, addirittura, l’arroganza di correggerlo e biasimarlo («Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo»: Mc 8,32).
Il dono di questa Pasqua, allora, sia l’abbandonarci nelle mani misericordiose di Dio, riconoscendo che non siamo noi che, con le nostre forze, ci possiamo salvare. Sono le braccia di Gesù che ci salvano: braccia spalancate sulla croce a cingere il mondo intero; braccia che ci insegnano ad accogliere e amare i fratelli.
La nostra salvezza è nell’amore infinito e fedele di un Figlio, vero Dio e vero uomo, che si è posto al nostro fianco per condividere il nostro cammino e le nostre fatiche e che alla fine ci mostra che il né il male né la morte avranno l’ultima parola nella nostra storia.
La lotta e la preghiera di Gesù nel Getsèmani diventano, allora, accettazione della volontà del Padre e ci mostrano che solo così anche noi potremo giungere a vedere il vero volto del Dio dell’Amore.
Buona Pasqua!