San Paolo Apostolo, secondo Rembrandt

Soffermiamoci su questo dipinto di Rembrandt, San Paolo alla sua scrivania, ora conservato al Germanischs Nationalmuseum (Norimberga), visto che la nostra Comunità Pastorale ha scelto di richiamarsi proprio a “San Paolo Apostolo”, facendo di lui il suo punto di riferimento. E Saulo di Tarso è l’apostolo che sulla Parola ha fondato la sua missione: da una parola efficace e potente è stato chiamato sulla via di Damasco e con le profonde e appassionate parole che ha scritto nelle sue lettere ha fatto conoscere Cristo a tutte le genti. La Parola di Dio è stata il fondamento della sua vita missionaria, interamente spesa a fondare chiese e a predicare la buona novella di un Dio incarnato e risorto. Paolo, insomma, indica a ognuno di noi la via per essere cristiani autorevoli e veritieri nella quotidianità.

- L’opera, un olio su tavola in legno, è databile al 1629-1630, periodo nel quale Rembrandt eseguì una serie di disegni a gessetto, nei quali si cimentò con lo studio della figura del grande santo, a figura intera o seduta.
- Rembrandt ci introduce di colpo e in modo sorprendente nella stanza di Paolo. Forse è – nell’intenzione dell’artista – la casa del suo ultimo domicilio a Roma, abitata dal santo prima del suo martirio. Non lo sappiamo con certezza.
- Certo è che Paolo è vecchio; le sue lettere e i suoi scritti sono ammassati su un tavolo in primo piano; un tavolo che noi, occasionali visitatori dello studio paolino, siamo obbligati a osservare. La prima cosa su cui Rembrandt vuole fare cadere la nostra attenzione, quindi, sono proprio gli scritti dell’apostolo, ben sapendo che solo attraverso la lettura attenta delle sue lettere, nonché attraverso la comprensione dell’interpretazione paolina del mistero di Cristo dentro le Scritture, è possibile conoscere la vera grandezza di Saulo di Tarso.
- Paolo può essere capito solo alla luce della comunità cristiana. Proprio l’aver capito che la Chiesa è il metodo con cui Cristo si comunica nel tempo e nello spazio – analogamente al fatto che Cristo è il metodo con cui Dio ha scelto di comunicarsi agli uomini per la loro salvezza – fa di Paolo il grande esegeta del mistero della Comunità dei Credenti.
- Qui Rembrandt coglie Paolo seduto, seguendo il fascino che tale posa esercitava sui luministi caravaggeschi del secondo decennio del Seicento. Seduto e solo: lontane le folle che lo acclamavano, lontani i discepoli e le chiese da lui fondate, lontane persino le continue persecuzioni. Qui, Paolo è solo con il mistero del suo destino.
- Dopo i libri, appese al muro si notano due spade: ricordo della sua antica lotta contro quella che al principio considerava la “setta” dei cristiani, ma anche annuncio del martirio a lui prossimo. Paolo, cittadino romano, non morirà crocifisso o sbranato dalle fiere come i forestieri; lui morirà decapitato come il grande precursore di Cristo, il Battista. Non mancano, del resto, somiglianze fra san Paolo e san Giovanni: una certa rudezza di carattere e, soprattutto, lo spirito anticipatore e profetico. Paolo fu il grande precursore della cristianità, colui che aprì definitivamente le porte dell’alleanza in Cristo ai non ebrei, ai ‘goim’, ai gentili, senza che questi si dovessero sottoporre alle pratiche della legge mosaica. Tutto questo bagaglio di grandi ideali e di grandi tensioni grava sul capo dell’ormai anziano apostolo, proprio come le due spade appese al muro.
- Sotto di esse, egli medita assorto; pare quasi – ma solo per un occhio distratto – assopito. Se guardato a lungo e a fondo, egli ci rivela l’oggetto della sua meditazione: «Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo a tutti voi per il progresso e la gioia della vostra fede …» (Fil 1,23-25). È straordinaria la capacità di Rembrandt di rendere questa doppia tensione così caratteristica di Paolo: l’amore per Cristo e l’amore per la Chiesa.
- Dal lato sinistro del quadro piove una luce artificiale intensa. È quella che illumina il volto, il pensiero, quella che cade sulla spalla destra di Paolo, lasciandone però in ombra il braccio destro. L’apostolo impugna ancora la penna, ma appare ormai stanco. È il servo inutile (cf Lc 17,10) che, pur senza aver esaurito il mistero del Maestro, sa di aver fatto tutto, almeno tutto quello che era in suo potere di fare. È ormai giunto il tempo di sciogliere le vele e approdare al porto della comunione piena e totale con Cristo, incontrato molti anni prima sulla via di Damasco.
- Alla destra del quadro, da una finestra nascosta, entra la luce solare. È questa luce che lascia in ombra i libri e le pergamene, ma inonda le spade e il braccio sinistro. Eccolo lì quel braccio straordinario (che, forse, solo ora notiamo), colto nell’atto di appoggiarsi al tavolo e far leva su di esso per balzare in piedi e partire. È il braccio del missionario, di Paolo, instancabile fondatore di chiese.
- Due luci due tensioni, due braccia due amori: il desiderio di essere con Cristo e il desiderio di nuove missioni, di nuove anime da salvare. Egli potrebbe dire con Jacopone da Todi: «Cristo me trae tutto tanto è bello! Eppure egli è anche tutto per l’opera di un Altro.» (Lauda XC, in Le Laude).
Questa è la grandezza e la forza del messaggio paolino.
Non la diatriba infinita fra fede e opere, ma le opere della fede e l’ardente desiderio dell’Eternità, dell’unione con Cristo che rende più certo e più caro il presente.