Prima settimana di Quaresima. «Amerai il tuo prossimo come te stesso»

In questo 2022, invece di commentare – come fatto negli anni precedenti – i brani evangelici delle domeniche di Quaresima, rifletteremo su una delle letture proposte nelle Sante Messe della settimana.
In questa prima settimana di Quaresima puntiamo l’attenzione sulla prima lettura del lunedì: Genesi 2,18-25.
18E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». 19Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. 20Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. 21Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. 22Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. 23Allora l’uomo disse:
«Questa volta
è osso dalle mie ossa,
carne dalla mia carne.
La si chiamerà donna,
perché dall’uomo è stata tolta».
24Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne. 25Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna.
E ci lasciamo interrogare da un affresco di uno dei più celebri pittori in uno dei luoghi più conosciuti del mondo: la Creazione di Eva, che fa parte della volta della Cappella Sistina, realizzata da Michelangelo Buonarroti.

affresco (170×260 cm) – volta della Cappella Sistina, Musei Vaticani, Roma
Quando Giulio II nel 1508 lo incaricò di affrescare il soffitto della Cappella Papale – che era allora considerata più importante di San Pietro –, Michelangelo tentò di sottrarsi all’incarico, affermando che lui era solo uno scultore. Il papa, però, non volle sentire ragioni e l’artista – che aveva 33 anni – iniziò a pensare, studiare testi, disegnare, preparare cartoni; infine, montò i ponteggi, in modo da non intralciare le funzioni religiose che dovevano continuare a svolgersi sotto di lui, e iniziò a dipingere partendo dalle campate vicine all’ingresso.
Le opere della volta furono realizzate in due tempi con due diversi ponteggi, costruiti a distanza di tempo l’uno dall’altro. Nel 1510, arrivato a metà del lavoro, si rese necessario smontare l’impalcatura, per poi rimontarla, entro l’autunno del 1511, lungo l’altra metà della Cappella. Il punto di divisione dell’opera di Michelangelo venne così a coincidere con lo spazio occupato dalla Creazione di Eva, che fu il primo episodio a essere realizzato nel secondo tempo della decorazione. La fretta indiavolata di Giulio II (peraltro non immotivata, in quanto voleva vedere l’opera finita prima di morire, riuscendovi a stento) costrinse l’artista a perfezionare la sua tecnica, la sua velocità d’esecuzione, la gestualità della sua pennellata (dipingeva in piedi, con la “barba al cielo” e la testa arrovesciata, “con grande affanno e grandissima fatica”, con il pennello che gli gocciolava sul viso). Dovette altresì semplificare le immagini ingrandendo le figure, in modo che potessero essere perfettamente leggibili da terra, 20 metri più in basso, e scegliendo con attenzione i colori, perché aiutassero a definire le forme.
Dipinta nell’ottobre del 1511, la Creazione di Eva fu completata in soli quattro giorni.
Qui, per la prima volta, Michelangelo dipinse la figura dell’Eterno (poi protagonista di tutte le altre scene verso l’altare). Adamo, nudo e dormiente, è disteso, nell’angolo inferiore a sinistra: innocente e ignaro, poggia la schiena su un tronco, prefigurazione dell’albero della vita. Il suo corpo è perpendicolare a quello, anch’esso nudo, di Eva che si alza, con un atteggiamento di forte dinamismo, sollecitata da un gesto eloquente e perentorio dell’Eterno in piedi davanti a lei. La monumentale figura di Dio (arcaica, quasi fosse un rimando a Giotto) è avvolta in un ampio mantello violaceo che lascia appena intravedere la tunica che indossa nelle altre scene della volta. Sembra compressa nello spazio pittorico, quasi non riuscisse a contenere la Sua immensità: ha uno sguardo intenso e alza il braccio destro – vero motore dell’azione – che sembra guidare Eva verso l’alto, mentre essa emerge gradualmente, con le mani giunte benedicenti, dalla costola di Adamo disteso addormentato. La composizione michelangiolesca è resa particolarmente efficace da un gioco di linee perpendicolari e parallele: il torso di Adamo è parallelo alle cosce di Eva (ma perpendicolare al suo torso), così come è parallelo alla sporgenza rocciosa e al braccio alzato del Creatore; il corpo di Eva appare come continuazione del braccio disteso di Adamo, parallelo al tronco secco. Gli avambracci dei due progenitori sono tra loro paralleli, ma perpendicolari a quello di Dio. Le teste dei protagonisti sono disposte poi su un unico asse che attraversa diagonalmente l’intera scena.
Il paesaggio è spoglio e sommario. La creazione di Dio è riconoscibile nei suoi elementi essenziali: acqua, cielo, erba, pietra; si vede, infatti, un lembo di mare sotto un cielo azzurro chiaro e un prato verde, mentre in primo piano abbiamo un gruppo di rocce digradanti verso destra, con un albero secco a cui è appoggiato Adamo.
Ma ciò che più colpisce in questo affresco di Michelangelo, e che ci permette di riflettere sul brano di Genesi che stiamo commentando, sono la mano benedicente del Creatore e, soprattutto, il Suo sguardo intensissimo, che ci permette di iniziare il nostro cammino quaresimale con la certezza che è solo in Dio che possiamo trovare uno sguardo in cui riposare e grazie al quale scoprire relazioni che ci nutrano.
È tutto il capitolo 2 di Genesi a parlarci di relazione.
La storia del mondo e dell’uomo inizia così: là dove c’è il deserto Dio vuole un giardino: «Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente…» (Gen 2,8). E lì vi colloca chi lo possa coltivare: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15). Da ‘adamah (la terra) trae ‘Adam, impasto di terra e del respiro divino che il Creatore gli ha soffiato in gola. E già questa è un’immagine che ci deve aiutare e confortare quando i tempi ci sembrano difficili: ognuno di noi respira del respiro di Dio. Che notizia sconvolgente e consolatoria!
Dio si rende conto che suo figlio ‘Adam – il “terroso” – si sente solo. L’ha creato a sua immagine; e poiché Lui è relazione, anche la Sua creatura lo è! Non va bene che sia solo; è necessario un aiuto che “gli stia di fronte” – e così dice, letteralmente, il testo ebraico –, un aiuto che “lo guardi negli occhi”. Allora Dio si scatena, creando ogni sorta di creature del cielo, della terra e del mare; ma con nessuna di esse ‘Adam riesce a entrare in sintonia…
E Dio capisce che l’uomo, essere straordinario, ha bisogno di una creatura altrettanto straordinaria. Lo fa addormentare e, da una sua costola (osso nobile, perché vicino al cuore), plasma la donna e la porta ad ‘Adam, che si sveglia e incrocia lo sguardo con la nuova compagna. Il cuore dell’uomo, allora, si apre alla gioia: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna (‘ishsha, in ebraico) perché dall’uomo (‘ish) è stata tolta» (Gen 2,23). Ecco che in quel momento, nel momento in cui i loro occhi si incontrano, quando la relazione finalmente nasce, ‘Adam cambia il nome. Perché è diventato una nuova persona. Perché l’amore rinnova e trasforma. ‘Adam diventa ‘ish e la donna diventa ‘ishsha: la stessa radice nominale, proprio perché le loro radici sono ormai intrecciate.
All’inizio della Quaresima, allora, l’incontro tra Adamo ed Eva diventa il paradigma perché questo tempo di conversione possa diventare tempo di nascita o di riscoperta dell’importanza delle relazioni. Perché essere cristiani vuol dire proprio riconoscere che il fondamento su cui costruire la nostra vita è l’incontro personale – “occhi negli occhi” – con un Dio che per Amore si è incarnato e che per Amore ci dona la salvezza nella croce. Perché essere cristiani vuol dire creare relazioni nella quotidianità per tradurre il nostro rapporto “verticale” con l’amore di Dio in tanti rapporti “orizzontali” (e come non vedere in questa verticalità e orizzontalità la croce di Cristo che abbraccia l’umanità intera?) con il nostro prossimo.
Un’ultima considerazione. «Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò…» (Gen 2,21). Affinché il Creatore possa plasmare Eva/’Ishsha (e, quindi, per poter creare relazione), è necessario che ‘Adam/’Ish dorma. La donna scaturisce dal cuore dell’uomo quando questo non ci mette mano: è un mistero che nasce dal profondo di lui. E il sonno è esattamente il tempo del mistero e del gratuito.
Ecco, allora, perché questo brano biblico è posto all’inizio del tempo quaresimale. Ed ecco che la grandezza dell’arte di Michelangelo ci ricorda tutto ciò nell’affresco della Cappella Sistina. Mai dobbiamo dimenticarci dei nostri limiti e del nostro essere creature; sempre dobbiamo ricordarci che ogni nostra relazione può diventare vera e feconda solo nella misura in cui rimane radicata sul fondamento dell’Amore di Dio. Riconosciamo – proprio come sembra fare Eva nell’affresco del Buonarroti – che è Dio che salva grazie all’incarnazione e alla croce di Gesù; e che noi tutti riusciremo ad amare nella misura in cui riconosceremo di essere amati.
Nel Vangelo di Marco, a uno degli scribi che lo interrogava sui comandamenti, Gesù replica: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». (Mc 12,29-31).
In fondo, il cristianesimo è tutto qui: affidarsi a Dio e amare gli altri…
Buona Quaresima!