«Nulla è impossibile a Dio». Sesta domenica di Avvento

Lc 1,26-38a

26[…] l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

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Non ha bisogno di presentazioni il dipinto che conclude il nostro cammino di quest’anno: è l’Annunciazione, opera giovanile di Leonardo da Vinci, trovata nel 1867 in una piccola chiesa di Firenze e oggi conservata alla Galleria degli Uffizi.

Nel Rito Ambrosiano, la VI domenica di Avvento, ormai in stretta prossiminità al Natale, è chiamata “Domenica dell’Incarnazione” e il brano di Vangelo di Luca ha una chiara intenzione vigiliare: ha il sapore di un’attesa. Attesa per i nostri occhi e per il nostro cuore.

Attesa che vediamo negli occhi limpidi e sereni di Maria, dipinti dal genio toscano. Attesa del suo cuore, colmata dall’annuncio dell’angelo e dalla libera accettazione del suo ruolo centrale nel disegno salvifico di Dio per l’uomo, come scrive san Paolo: «Benedetto Dio, […] che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, […] secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia.» (Ef 1,3-6).

Nella sua tavola, Leonardo colloca i due personaggi dell’episodio evangelico in modo tradizionale, con la Madonna a destra e l’angelo a sinistra. Però, allontanandosi intenzionalmente dalla solita iconografia del tema dell’Annunciazione, al posto della loggia o della camera da letto di Maria, il pittore ambienta la scena in un giardino all’esterno della casa della Vergine (facendone intravedere il letto dal portale aperto). Davanti all’ingresso di un palazzo rinascimentale – all’interno di in un rigoglioso giardino recintato che evoca l’“hortus conclusus”, simbolo della purezza di Maria – Gabriele si inginocchia davanti alla Madonna. Seduta con grande compostezza davanti a un leggio sul quale è poggiato un libro, con un’espressione un po’ tesa che ne rivela la timidezza, la Vergine risponde al suo saluto.

Leonardo colloca la sua Annunciazione in un’ambientazione naturalistica totalmente terrena: l’angelo ha una corporeità concreta, suggerita dall’ombra proiettata sul prato e dalla resa plastica dei panneggi. Le sue stesse ali sembrano essere quelle di qualche forte rapace. L’ampia parte della tavola dedicata alla natura sembra voler sottolineare come il miracolo dell’Incarnazione divina coinvolga, attraverso Maria, l’intero creato, e non solo l’uomo. Grande attenzione è riservata, infatti, alla descrizione botanica – in cui si riconosce l’influenza dell’arte fiamminga – di erbe, fiori e piante sia nel prato che nello sfondo: con una precisione lenticolare, è un vero e proprio omaggio alla varietà e alla ricchezza della creazione.

Assolutamente unica, poi, è la resa della luce: chiarissima, quasi mattutina, modella le forme, ingentilisce i contorni delle figure e fa risaltare le sagome scure degli alberi sul paesaggio dello sfondo, dominato da quei toni sfumati e da quel digradare progressivo dei colori tanto cari all’artista. È proprio con la luce e i colori che Leonardo riesce sapientemente a costruire lo spazio e a rendere l’atmosfera sacra e solenne dell’episodio evangelico.

L’Arcangelo è raffigurato in una posizione classica, quasi fosse appena planato con le ali che stanno terminando di battere. La sua veste è già completamente ricaduta al suolo e mostra tutto il suo peso sull’erba. A differenza, però, degli angeli della tradizionale iconografia del tema dell’Annunciazione, non ha ali di pavone (considerato simbolo di immortalità per la sua carne, che si credeva non potesse marcire). Con la mano destra benedicente, l’angelo porge alla Vergine Maria un giglio, emblema di purezza e castità. Altri simboli sacro sono i cipressi sullo sfondo, ai quali, in virtù della loro caratteristica di crescere alti verso il cielo, viene spesso associata l’immagine della Vergine Maria, di Cristo e della Chiesa.

La Madonna si trova dietro un altare marmoreo scolpito, su cui è appoggiato un leggio. Tra i numerosissimi dettagli di tale altare spicca una conchiglia, immagine della bellezza eterna espressa da Maria, “nuova Venere”. Raffinatissimo è il velo semitrasparente sotto il libro delle Sacre Scritture – aperto su un passo del profeta Isaia – che la Vergine stava leggendo prima di essere interrotta dall’arrivo dell’angelo, simbolo delle profezie del Vecchio Testamento che si avverano con la libera accettazione di Maria.

La posizione della sua mano sinistra evidenzia la fatica del comprendere come ciò che l’angelo le annuncia possa concretizzarsi. Le prime parole di Maria registrate nel Vangelo di Luca sono una domanda, che riassume le nostre umanissime paure di affrontare ciò che non capiamo e di aprirci al dialogo con il mistero. Il merito di Maria è quello di essersi fidata di una promessa apparentemente incomprensibile: «la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (v. 35). Di aver creduto che l’ombra della potenza dell’amore di Dio potesse dare origine a cose nuove, impensate: perché «nulla è impossibile a Dio» (v. 37). Di avere avuto il coraggio di mettersi a disposizione del nuovo: «Ecco la serva» (v. 38), conclude Maria il dialogo con l’angelo. Di aver riconosciuto di essere stata immeritatamente sfiorata dall’amore di un Dio che non fa calcoli. Di aver risposto di sì all’invito di Dio – con l’esercizio della sua libertà – accettando di mettersi al servizio, senza interessi, con amore gratuito.

Nella parte conclusiva della sua Lettera ai Filippesi, Paolo scrive: «Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla» (Fil 4,5-6). Solo il riconoscere che Dio ci è vicino, sempre, può farci vincere tutte le meschinità dei nostri pensieri, dei nostri desideri, della nostra stessa vita. Apriamoci, allora, a questo grande annuncio: con Maria, l’uomo ha «trovato grazia presso Dio» (v. 30). Ed è proprio questa effusione di grazia che ci permette di rendere concrete le ulteriori parole dell’Apostolo delle Genti ai cristiani di Filippi: «In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. […] E il Dio della pace sarà con voi!» (Fil 4,8-9).

Il racconto lucano è di un’estrema sobrietà; i particolari sono ridotti al minimo. Del paese della Vergine viene detto solo il nome, un nome che sembra essere senza importanza: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46), dirà Natanaele a Filippo quando verrà da lui invitato a seguire il Maestro da poco incontrato. Nulla viene detto della casa, una casa qualunque. Maryām è il nome della ragazza che in essa abita: un nome proprio aramaico assai comune ai tempi di Gesù. Come se Luca ci volesse dire che l’incontro con Dio, il suo avvento nella nostra quotidianità, non ha assolutamente bisogno di situazioni privilegiate. Può avvenire dovunque, purché noi si sia disposti ad aprirci. Potrebbero non essere casuali le parole usate dall’evangelista quando, parlando dell’arrivo dell’angelo, non dice «entrando nella casa», ma «entrando da lei»: come a voler puntualizzare che non bussò a una porta, ma a una persona. Aspettando che questa persona si aprisse. Il racconto, infatti, è semplicemente un dialogo; è tutto e solo dialogo. Sarà Natale vero, allora, se ognuno di noi – come Maria – saprà aprire il cuore all’incontro con Dio e parlare con l’angelo che bussa nella nostra vita.

È importante sottolineare come il dialogo tra l’angelo e Maria – che possiamo pensare essere il dialogo di Dio con ciascuno di noi – inizi con la parola «Rallégrati» (v. 28). È un inizio di gioia piena, perché Dio non vuole che noi abbiamo paura. Quella paura che, invece, nasce subito nel cuore della Vergine (e nei nostri): «A queste parole ella fu molto turbata» (v. 29). Maria, sfiorata dall’angelo, dall’invisibile, viene anche sfiorata anche dal timore! E l’angelo di rimando: «Non temere, Maria» (v. 30a). Ed è quello che Dio – attraverso l’angelo – dice a ognuno di noi: «Non temere!». «Perché» – continua l’angelo – «hai trovato grazia presso Dio» (v. 30). Ecco la gioia che nasce. Ecco il lieto annuncio dell’Incarnazione: attraverso Maria l’uomo ha trovato un amore gratuito, non calcolato e pesato sui suoi meriti. Noi siamo amati per quello che siamo, con un amore senza pretese.

Natale è la festa per un Dio che ci raggiunge dove siamo e come siamo.

Rallegriamoci, allora. Buon Natale!