Le tentazioni di Cristo. Prima domenica di Quaresima

Il tempo della Quaresima è un tempo di prova, di lotta, di resistenza alle tentazioni che ci assediano; è un cammino nel deserto orientato al dono di Dio, all’incontro con lui. Per questo nella prima domenica di questo tempo liturgico ci viene svelata la realtà della tentazione subita da ogni essere umano, subita da Gesù stesso, anche lui “figlio di Adamo”, che ha vinto le tentazioni, ma non ne è stato esente, perché nella sua umanità vera e concreta c’era la fragilità e la debolezza della “carne”.

Nell’ottobre del 1480 Sandro Botticelli partì, con altri pittori fiorentini, alla volta di Roma. Chiamato – su consiglio di Lorenzo il Magnifico – quale “ambasciatore” culturale della sua città nell’ambito di un progetto di riconciliazione con papa Sisto IV, si mise a lavorare – affiancandosi al Perugino – a quella che sarebbe poi diventata la Cappella Sistina.

Il tema affrontato da Botticelli fu il parallelismo tra le Storie di Mosè e le Storie di Cristo, così da evidenziare la continuità tra Vecchio e Nuovo Testamento e la trasmissione della legge divina dalle tavole della legge date a Mosè sull’Oreb al messaggio evangelico di Gesù, il quale poi scelse san Pietro come suo successore, legittimando il potere, la supremazia e l’infallibilità dei suoi successori.

Sandro Botticelli, Le prove di Cristo

Le Prove di Cristo è uno dei tre dipinti di Botticelli: l’affresco raffigura le tre tentazioni di Gesù, dove, in primo piano, si svolge un rito sacrificale, interpretato come quello per la purificazione dei lebbrosi descritto nel capitolo 14 del libro del Levitico.

In alto a sinistra, Cristo incontra il demonio: al limitare di una selva oscura – e non nel deserto del racconto biblico – il demonio si presenta a Gesù sotto le sembianze di un eremita, vestito con un saio che non riesce però a nascondere le ali da pipistrello e le zampe di gallina e che si appoggia a un bastone a forma di ‘tau’. Il diavolo, con la malizia del travestimento, invita Gesù a tramutare le pietre in pane. È la prima grande tentazione che prende origine dalla fame, dal bisogno materiale.

Al centro in alto, Cristo e il demonio sono sulla sommità del frontone di un tempio. È la scena centrale dell’affresco, la seconda tentazione che, nel racconto evangelico, avviene sul pinnacolo del tempio di Gerusalemme. Il demonio propone a Gesù di gettarsi dalle mura del tempio e farsi salvare dagli angeli, così che tutti possano credere in Lui.

In alto a destra, Cristo, dopo aver rifiutato l’offerta del tentatore di dominare il mondo, lo fa precipitare da una rupe nel vuoto, nudo. Il diavolo, smascherato, rimane completamente svestito del saio ormai svolazzante, rivelando così chiaramente il suo aspetto diabolico. Nemmeno il tempo di scacciare via il demonio che, ecco, già tre angeli, alle spalle di Gesù, gli stanno preparando un banchetto. È la terza e ultima tentazione; è l’inganno del potere, che Gesù smaschera.
A sinistra, infine, proprio sotto la prima tentazione, Gesù – dopo il superamento di queste prove – “assiste” alla purificazione del lebbroso guarito.

Ciò che si sta svolgendo davanti, nella scena centrale, è un rito sacrificale. Numerosissimi sono i personaggi che vi assistono. Il vecchio vestito di blu lo si può identificare come un sacerdote che sta porgendo dei rotoli al giovane. Questi è vestito di bianco, ma – a ben guardare – sotto la veste bianca (che indica il sacrificio) ha lo stesso abito del sacerdote.

La chiave per interpretare questa scena ci viene allora dall’iscrizione sul fregio: “Temptatio Iesu Christi Latoris Evangelicae Legis” (“Tentazione di Gesù Cristo, portatore della legge evangelica”). Il giovane, allora, è proprio Cristo, vittima e “sommo sacerdote”, che riceve dal sacerdote – che simboleggia Mosè – la Legge dell’alleanza e dona la “nuova” Legge del Vangelo. È Gesù che salverà l’umanità intera con il proprio sacrificio: «Ogni sommo sacerdote, infatti, è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.[…] Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, gliela conferì…» (Eb 5,1.5). Con questo affresco, è come se Botticelli ci dicesse che il Cristo può diventare davvero portatore della “nuova” legge dell’Amore solo passando attraverso il vaglio della Sua piena umanità, che deve fare i conti anche con la prova e le tentazioni. La “nuova” Legge del Vangelo si basa allora sull’obbedienza al Padre, come Cristo stesso ci ha testimoniato nelle tre prove subite dopo i giorni nel deserto: Egli è stato obbediente perché ha amato il Padre e da Lui si è sentito amato.