L’accoglienza di Abramo. Terza domenica di Quaresima

«La Bibbia è la fonte cui hanno attinto, come in un alfabeto colorato, gli artisti di tutti i tempi»: questa affermazione di Marc Chagall esprime bene il posto che occupa nell’arte la Bibbia, il Libro sacro dove Ebrei e Cristiani si riconoscono fratelli. È una Parola che si cala nelle forme storiche del tempo per trasmettere a ogni uomo il messaggio di Dio.
Nel Vangelo di questa domenica di Quaresima Gesù ci parla – legandole alla Parola – di libertà e schiavitù, di verità e di menzogna: «Se rimanete nella mia parola […] conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31b-32).
Parola, verità e libertà formano dunque una triade indissolubile, sulla quale fondare la nostra sequela. Il segreto della vera libertà – ci suggerisce Gesù – è il dimorare nella sua Parola. “Dimorare”, però, significa abitare, e abitare un luogo presuppone di entrarvi spesso, fermarvisi, conoscerlo, ritornarvi più e più volte, fino ad amarlo come proprio. Ed è proprio questo il lavoro che Gesù chiede a noi, suoi discepoli, di fare con la Sua Parola, per poter arrivare a comprendere appieno la Sua persona. Il punto di partenza della sequela non può che essere la docilità dell’animo all’ascolto e la disponibilità a trascorrere tempo con Lui.
Allora, chi più di Abramo ha saputo dare tempo a Dio, ha saputo plasmare il proprio cuore all’obbedienza e alla docilità, ha saputo mettersi in un cammino di sequela a partire dall’ascolto di una parola?
Ma a quale verità ci conduce la Parola di Cristo? La verità dell’amore di Dio, annunciato da un Figlio amato dal Padre che ci rende partecipi della Sua fraternità.
Allora, chi più di Abramo si è sentito amato e ha riconosciuto la verità assoluta e profonda dall’Amore di Dio?
Ciò che caratterizza la relazione con Dio – ci insegna Gesù – non è l’appartenenza a un popolo, ma la coscienza di essere, in Gesù Cristo, tutti fratelli e figli amati dello stesso padre: questa è la nostra libertà di cristiani.
Allora, chi più di Abramo ha saputo mettersi in piena relazione con Dio, lasciando tutto per mettersi in cammino dietro la promessa immensa e “folle” di una terra e di un popolo?
Abramo, dunque, è colui che fa della sua vita la piena incarnazione e manifestazione della capacità dell’uomo di ascoltare la Parola, per comprendere la verità e così raggiungere la libertà.
Proprio per sottolineare questa caratteristica “ternaria” (‘Parola’, ‘verità’, ‘libertà’) così peculiare della vicenda terrena di Abramo abbiamo allora scelto di soffermarci sul dipinto Abramo e i tre angeli, di Marc Chagall, che richiama la famosissima icona di Andrej Rublëv: La trinità (o Ospitalità di Abramo).
Il riferimento è al capitolo 18 del libro della Genesi, quando Abramo riceve la visita di tre angeli alle querce di Mamre: «Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: “Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo”. Quelli dissero: “Fa’ pure come hai detto”.» (Gen 18,1-5).
Le opere di Chagall e di Rublëv narrano l’episodio di questa visita ad Abramo da parte di tre “uomini”, come dice il testo del capitolo 18 (o “angeli”, come dice invece il successivo capitolo 19). Leggiamolo meglio: «…il Signore apparve a lui (Abramo) alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui» (Gen 18,1-2a). La cosa singolare è che Abramo si rivolge a loro al singolare: «Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo» (Gen 18,3). Sono pellegrini, ed egli sente il dovere di accoglierli. Dopo aver pranzato con Abramo, gli ospiti annunceranno la nascita di Isacco: «Poi gli dissero: “Dov’è Sara, tua moglie?”. Rispose: “È là nella tenda”. Riprese: “Tornerò da te fra un anno…”» (Gen 18,9-10a). Questo ricorrente traslocare di persone (si notino i verbi che continuamente passano dal singolare al plurale) non è certo una stranezza stilistica, ma contiene un messaggio straordinario: Dio “emerge” dal prossimo. Quei tre viandanti – angeli o uomini che fossero – erano il prossimo di Abramo; anzi, erano lo straniero. Una volta accolti “diventano” – se così si può dire – Dio. È proprio sull’accoglienza della Parola di un Dio “vero”, allora, che si gioca l’intera esistenza di Abramo e, con lui, di tutti noi credenti. Il Dio “vero” svela ad Abramo la verità sulla sua vita e lo rende “libero” di accettare questa relazione d’amore, aderendo ai Suoi insegnamenti, ascoltandolo, ritornando a Lui, dandogli tempo e cuore, perché la Parola possa così diventare fondamento di tutte le sue scelte.

Nel dipinto di Chagall, l’incontro di Abramo con gli Angeli è immerso in un rosso che si incendia del divino. All’interno del Museo del Messaggio Biblico di Nizza (che ospita le grandissime tele e le altre interpretazioni del Pentateuco e del Cantico dei Cantici realizzate da Chagall tra il 1930 e il 1956) questo quadro è l’unico nel quale la composizione non è definita né da cerchi né da diagonali, ma da una rete di linee verticali e orizzontali. L’opera riflette le conoscenze che certamente Chagall aveva dell’icona della Santa Trinità di Andrej Rublëv, dove i tre angeli sono rappresentati intorno a una tavola, episodio considerato dall’esegesi biblica come prefigurazione della SS. Trinità.
Lo sfondo rosso evoca proprio l’Amore assoluto di Dio e dà al dipinto una grandezza bizantina, mentre il procedimento cubista ha l’effetto di spingere gli angeli in percettibile movimento verso lo spettatore.
Il rosso ha poi una valenza simbolica notevole: è simbolo dell’amore divino (Trinità) ma è anche simbolo della vita trasmessa (Sara avrà un figlio, Isacco); là dove diventa più scuro è simbolo della violenza: in alto, vediamo Abramo accompagnare gli Angeli che, dopo il messaggio di vita a Sara, andranno a distruggere le città peccatrici Sodoma e Gomorra. L’Angelo è una creatura molto cara a Chagall: uomo-uccello, è l’immagine della libertà dell’ascensione nello spazio dopo la vorticosa discesa in terra. Il volto di Abramo è vibrante di tutti i colori dell’iride.
Il merito di Chagall – nonché, prima di lui, del racconto della Genesi – è di non fare della Trinità un simbolo fuori dal tempo ma di mostrarla in azione, mentre – «nell’ora più calda del giorno», in una luce di fuoco – riceve ospitalità da Abramo e Sara. Contento che l’uomo gli somigli, e contento pure di somigliargli, Dio imita Abramo nell’uscire dalla propria terra: la sua visita dice il desiderio di includere altri, di arricchire e di farsi arricchire da una famiglia umana.

L’icona di Rublëv (che ha sicuramente ispirato Chagall) raffigura la stessa scena della visita ad Abramo: la sua docilità nell’accogliere la parola di Dio che si fa presenza concreta («E il Verbo si fece carne…» [Gv 1,14]) diventa spunto per parlarci del Dio Trinità. Secondo la tradizione il soggetto raffigurato sulla sinistra è Dio Padre, al centro è collocato Gesù e sulla destra è presente lo Spirito Santo. Al centro dell’opera è raffigurato un calice simbolo del sacrificio eucaristico di Cristo. Si noti come le figure laterali formino, esse stesse, con i loro contorni interni, una coppa.
Le opinioni divergono sull’attribuzione delle figure angeliche ai soggetti della Trinità: critici e teologi si sono espressi con teorie diverse nell’identificazione dei tre personaggi con ognuna delle tre persone della Trinità. Sembra proprio che Rublëv abbia volutamente scelto di raffigurarli in questo modo perché i credenti potessero “perdersi” nel Dio “uno e trino”. Le tre persone hanno tutte un’aureola, attributo che l’arte sacra tradizionale riserva proprio ai santi angeli. Dal punto di vista teologico, per estensione, l’aureola diventa allora un attributo delle Tre Divine Persone, essendo Dio creatore anche la prima e unica fonte di ogni santità.
L’intento di Rublëv non era tanto quello di mostrare le differenze tra le tre persone della Trinità, quanto quello di farne vedere l’unità spirituale. Rublëv coglie la circolarità dell’amore: i tre angeli hanno una praticamente lo stesso volto; non esiste una gerarchia tra di loro. Ciò che li differenzia è la gestualità che ognuno esprime verso l’altro.
Il dipinto di Chagall e l’icona di Rublëv rappresentano allora due modi di comprendere la visita del Signore ad Abramo. Chagall interpreta il racconto dal punto di vista degli antichi commentatori Ebrei. I misteriosi visitatori sono tre angeli: Gabriele, che annuncia a Sara la nascita di Isacco; Raffaele, che guarisce Abramo dopo la circoncisione; Michele, venuto per distruggere Sodoma. L’icona di Rublëv si ispira invece all’interpretazione dei Padri della Chiesa, che hanno visto nei tre visitatori l’immagine della Trinità. Che i viandanti – raffigurati come angeli – siano una manifestazione di Dio Trinità, lo si capisce dai dialoghi: dei tre è uno solo a parlare, in prima persona singolare; in più Abramo li chiama «mio Signore», dando loro sia del “tu” che del “voi”.
Sia Chagall che Rublëv, in ogni caso, ci ricordano che l’iniziativa è di Dio: è Lui, il Dio della Bibbia, che si avvicina a noi e ci parla. Alla chiamata perentoria del Signore, dunque, Abramo lascia la terra e la gente di suo padre e parte verso il luogo che il Signore stesso gli indicherà: da questo gesto di fede riprende vita la comunione tra Dio e gli uomini, e inizia a compiersi la benedizione di Dio destinata a tutti gli esseri viventi. Abramo è l’amato perché accoglie liberamente la Parola e su di essa sa fondare la verità della propria vita: proprio l’ascolto obbediente della parola del Signore e la prontezza nel metterla in pratica hanno fatto di Abramo e di Sara, sua moglie, i modelli della fede nel Dio unico.