La Samaritana. Seconda domenica di Quaresima

«Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più volte essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo»: così scriveva il 26 agosto 1942, nel suo Diario, l’ebrea Etty Hillesum, che sarebbe poi morta ad Auschwitz nel novembre dell’anno successivo.

È questa la frase che ci può guidare nella lettura del dipinto scelto per questa seconda domenica di Quaresima: Donna al pozzo di Giacobbe (Frau am Jakobsbrunnen) del pittore tedesco Sieger Köder.

Sieger Köder nacque in Germania nel 1925 e durante la seconda guerra mondiale fu mandato in Francia come soldato di frontiera, dove fu fatto prigioniero. Tornato dalla prigionia, frequentò la scuola dell’Accademia dell’arte di Stoccarda fino al 1951 e poi studiò filologia inglese all’università di Tubinga. Dopo dodici anni d’insegnamento e di attività come artista, Köder intraprese gli studi teologici per il sacerdozio e, nel 1971, venne ordinato prete cattolico. Fino al 1995, padre Köder esercitò il suo ministero come parroco e visse gli ultimi anni della sua lunga vita – morirà nel 2015 – a Ellwangen, non lontano da Stoccarda.

L’incontro tra Cristo e la Samaritana racconta del dialogo tra Gesù e una donna eretica, appartenente a una categoria di persone assolutamente interdetta a un ebreo osservante, soprattutto se rabbino.

Questa donna, quindi, può rappresentare tutta l’umanità lontana da Dio, emarginata per le sue condizioni sociali e religiose. Sant’Agostino, in particolare, vi ha scorto il volto della ‘Chiesa dei gentili’ che si aprirà, per grazia, alla fede in Cristo. Nella Samaritana è anche inscritto il volto dell’uomo di oggi che, pur avendo radici religiose, conduce spesso una vita lontana dalle pratiche della fede.

L’acqua è la parola chiave del racconto. La donna viene ad attingerla al pozzo di Sicar, un gesto quotidiano, comune a tutte le donne. Eppure, in questo gesto è nascosto un mistero: il suo è un attingere che diventa anche – e soprattutto – un prosciugare fino in fondo il proprio essere. In ebraico, ‘pozzo’ si dice “bar” e rimanda a una parola della legge mosaica – “barà” – che significa ‘creare’: la donna di Samaria che incontra Gesù, dunque, pone a tutti noi una riflessione sul nostro Battesimo: se l’acqua del pozzo è capace di creare, è proprio il Battesimo – cioè l’incontro salvifico con un Dio che salva – il momento capace di diventare, per ogni uomo, nuova creazione e fonte di conversione.

È Gesù per primo che chiede dell’acqua; in seguito, sarà la donna a ripetere le stesse parole: «Signore, dammi quest’acqua…» (Gv 4,15). A quel punto lei getta la maschera e, davanti a quest’uomo che riconosce come Signore, rivela tutta la sua debolezza e il suo bisogno; è una donna stanca del viaggio della vita e ha una sete grande che la consuma dentro, nel più profondo di sé. Gesù le promette un’altra acqua, che non è quella del pozzo, quella che si attinge con fatica e sforzo, quella che si consuma e finisce; Gesù offre un’acqua viva e vivificante.

Il luogo e il tempo in cui si realizza l’incontro tra Cristo e la donna di Samaria sono emblematici: Sicar, il pozzo di Giacobbe e l’ora del mezzogiorno. Sicar era l’antica Sichem. All’orizzonte di questa località si stagliano due monti: da un lato il Garizim, il verdeggiante monte sacro ai Samaritani (dove ancora oggi celebrano la Pasqua) e, dall’altro lato, l’aspro e brullo monte Ebal. In mezzo, il pozzo di Giacobbe, generoso di acque. Nei due monti il simbolo della benedizione e della maledizione e in mezzo l’acqua viva della Parola che domanda una scelta: chi volete servire?

Gesù siede sull’orlo del pozzo a mezzogiorno, stanco del viaggio. È strano, però, vedere una donna attingere acqua proprio in quel momento, quando il sole è allo zenit e l’acqua dovrebbe essere già in tavola. A quell’ora, solo le massaie più sprovvedute o quelle che desiderano evitare la folla dei curiosi si recano al pozzo ad attingere acqua. Dietro l’annotazione temporale, dunque, possiamo già intuire un disagio da parte della donna, un qualcosa di cui vergognarsi, che la fa agire di nascosto. Sapremo poi dal racconto che la sua situazione irregolare la rendeva oggetto di chiacchiere e di critiche da parte degli abitanti del villaggio. Allora, come sapientemente sembra suggerire la narrazione pittorica di Köder, allo zenit del sole terrestre corrisponde un nadir dell’anima della donna, avvolta nell’oscurità di una vita disordinata, di un’affettività confusa, di una fede incerta.

Köder sceglie di osservare la scena da una particolare prospettiva: quella del pozzo stesso. E ritrae la donna mentre, avvolta da un alone di luce, si sporge a guardare dentro il pozzo delle sue oscurità: la donna, sola, con un abito di color rosso – simbolo del suo peccato – si affaccia al pozzo, ne scruta l’interno intuendone la profondità. L’acqua sul fondo riflette due volti: quello della donna e quello di Gesù.

Gesù le chiede da bere. La stanchezza di Gesù, così come la sua sete, rimanda a un altro mezzogiorno, quello della croce in cui Gesù posto sul patibolo, luogo della piena rivelazione del Suo amore per l’umanità, proclama la sua sete. Una sete «altra»: la sete della fede del suo popolo. La donna, di certo, coglie nella domanda di quel Giudeo un desiderio che va oltre la sete materiale, ma non vuole assecondare questa intuizione. Non vuole incrociare lo sguardo del suo interlocutore: è – quello di Gesù – uno sguardo scomodo che la obbliga a guardare nel fondo della sua anima. Di fronte alla richiesta di Cristo la donna si ritrae. Il comportamento di Gesù è sorprendente, infrange tutte le regole. La Samaritana cerca di mantenere le distanze e di riportare la situazione entro i canoni del pensare comune: lei è una Samaritana, Gesù un Giudeo. Ma Cristo non si arrende: «Se tu conoscessi il dono di Dio …» (Gv 4,10). A questa donna, forse desiderosa di verità ma chiusa nei suoi schemi, Gesù rivela se stesso, rivela il dono del suo Spirito. Egli ha fatto sua la domanda dell’uomo, di ogni uomo: Cristo ha chiesto «Dammi da bere.» (Gv 4,7) per far sì che la donna comprendesse che era lei quella che aveva sete.

Il dialogo con Gesù, che a cerchi concentrici porta la Samaritana a guardare dentro di sé con verità, è reso evidente proprio da questo senso di attesa e di domanda. La risposta – ci dice Köder – è in fondo al pozzo: solo nella sincerità di uno sguardo onesto su se stessa può riconoscere la verità di chi le parla.

L’artista intuisce questo e dipinge la Samaritana che, mentre si sporge, sola, dall’orlo del pozzo, vede nella desiderata acqua non solo la propria immagine ma anche quella di Cristo: il volto di Gesù si vede solo riflesso, solo al termine di una “discesa” dentro se stessi. Cristo è l’acqua per la sua sete, Cristo è il volto che rivela all’uomo – a ogni uomo – il proprio destino. L’acqua viva è il dono dello Spirito Santo offerto da Cristo ai credenti perché siano spinti verso il Padre, verso la verità su loro stessi e sul loro misterioso destino. Nello specchio d’acqua, in fondo al pozzo, si realizza l’incontro vero. Lì la Samaritana non è più sola, Cristo è con lei; lì incontra il suo sguardo, quello sguardo che ha tentato di sfuggire e nel quale ora vede riflessa la sua vera identità: vede, finalmente, il dono di Dio per lei.

Nel pennello di Köder ritroviamo il tema della luce, così caro all’evangelista Giovanni. Due sono le sue fonti nel dipinto: la luce naturale che entra dall’alto e – se si capovolge il quadro – quella che dal profondo riflette e rimanda la luce verso l’alto. Il pozzo è buio. Solo l’apertura proietta un cono di luce che mostra il riflesso nell’acqua. Il sole – una macchia di luce più intensa tra i due volti – filtra nell’oscurità e proietta la sua luce sulla figura della donna. A rigor di logica, lei dovrebbe essere in ombra, apparendo in controluce; invece, è ben chiara e illuminata. Non è un particolare casuale: è la luce di Cristo che ora la illumina dall’oscurità di una vita disordinata e superficiale. Quel Cristo, che incontra la Samaritana nell’abisso della propria angoscia, diventa l’acqua per calmare la sua sete, diventa la luce che rischiara il cammino della sua vita; è Lui il volto che rivela all’uomo il suo destino.

Dall’alto del pozzo lo sguardo della donna è rivolto verso Gesù; nell’immagine riflessa, invece, è Gesù che guarda la Samaritana. Capovolgendo il quadro, la Samaritana rivede se stessa, mentre Gesù continua a guardarla. Se, dall’alto in basso, quindi, la Samaritana guarda Gesù, dal basso verso l’alto questa donna vede se stessa mentre Gesù continua a guardarla.

Nell’Antico Testamento, un salmo recita: «Un abisso chiama l’abisso…» (Sal 42,8); san Tommaso così lo spiegava: «L’abisso dell’oscurità umana invoca l’abisso della profondità di Cristo».

Allora, ci dice Köder, è solo perdendosi nell’abisso di amore di un Dio che si fa uomo e che accetta di camminare con noi sulle strade del mondo che riusciremo a uscire dagli abissi del male e del peccato. È solo accettando l’acqua che Gesù ci offre con sorprendente e totale gratuità («… chi berrà dell’acqua che io gli darò …» [Gv 4,14]) che la nostra vita può essere cambiata dall’incontro con una persona viva che prende su di sé le nostre miserie per innalzarci – con il Battesimo – alla dignità di figli di Dio.