La Resurrezione. Domenica di Pasqua

«La più bella pittura del mondo»: queste le parole con cui lo scrittore inglese Aldous Huxley (celebre per l’utopistico romanzo Il mondo nuovo) lodò, in un suo scritto, l’affresco di Piero della Francesca, per il quale nutriva una sconfinata ammirazione.

Un controverso aneddoto, addirittura, racconta che furono proprio queste parole che risparmiarono la città di Sansepocro (nel cui Palazzo del governo cittadino – oggi sede del Museo Civico – l’opera è custodita) dal bombardamento dell’artiglieria alleata nel 1944: il capitano britannico Anthony Clarke racconta, infatti, che, dopo aver ordinato il cannoneggiamento della città, interruppe il fuoco dopo essersi ricordato di ciò che Huxley aveva detto. Già nel XIX secolo, d’altronde, i primi viaggiatori inglesi che si avventurarono in quella parte di Toscana avevano definito quest’affresco come «dotato di una maestà terrificante e non terrena nel contegno, nei grandi occhi fissi nel vuoto e nei tratti malgrado ciò distesi».

La Resurrezione di Cristo di Piero della Francesca è un’icona del cristianesimo rinascimentale.

Eseguita intorno al 1463 con una tecnica tra l’affresco e la pittura “a secco”, essa si collega a una ben precisa fase della storia di Sansepolcro – che si pensava fondata su alcune reliquie portate dalla Terrasanta dai pellegrini Arcano ed Egidio –, in un momento in cui la città era fortemente impegnata a sostenere presso il papa la richiesta di ottenimento del rango di sede vescovile, con relativo titolo di città. In tale contesto, quindi, l’affresco di Piero della Francesca (che fu anche uomo politico, avendo più volte ricoperto incarichi pubblici per la sua città) si carica di un forte sentimento civico e di rappresentazione della comunità.

Nei secoli successivi, l’opera ebbe alterna fortuna: subito apprezzata, fu poi dimenticata fino al XIX secolo, per essere riscoperta da artisti e storici dell’arte inglesi appassionati del Quattrocento italiano. Un’accurata opera di restauro, durata tre anni e terminata nel 2018, ha riportato l’affresco al suo primitivo splendore.

Come detto da Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze e grande studioso della pittura sacra del Rinascimento, dal restauro – che ha consolidato e ripulito la superficie pittorica dallo sporco e da interventi ottocenteschi – è emersa nuovamente la luce adamantina di Piero che si spande nel cielo, finalmente tornato azzurro e terso, donando nuovo vigore e volume ai corpi e lucentezza ai colori. Nel paesaggio – da tempo in gran parte perduto a causa di un lavaggio scellerato con acqua e soda caustica – sono tornati visibili edifici e castelli.

Interessante è la “cornice” dell’opera: tutto il quadro sembra ambientato in un’apertura immaginaria, confinata dalla presenza di due colonne antiche, un basamento e un architrave.

Mentre quattro soldati romani dormono, Gesù si leva dal sepolcro, ridestandosi a vita, solenne e ieratico. La sua figura è al vertice di un triangolo immaginario, che va dalla base del sarcofago alla sua aureola, suggerito anche dalle linee di forza delle pose dei soldati.

La sua figura divide in due parti il paesaggio immerso nella luce dell’alba. La parte a sinistra appare invernale e morente, mentre quella di destra è estiva e rigogliosa, quasi a illustrazione del concetto paolino: «L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rom 8,19-21). Si tratta anche di un richiamo ai cicli vitali, presenti già nella cultura pagana e citati in altre opere pittoriche da altri artisti precedenti, come Ambrogio Lorenzetti e ha una forte valenza simbolica, per significare il rinnovamento dell’umanità attraverso la luce della Resurrezione.

La costruzione geometrica della composizione rende le figure astratte e immutabili, quasi appartenenti a un ordine di comprensione superiore. A questo effetto contribuisce la costruzione “atletica” della figura di Cristo, ben eretta e modellata anatomicamente come una statua antica, con un piede appoggiato sul bordo – a sottolineare l’uscita dal sarcofago – e la mano destra che regge il vessillo crociato, emblema del suo trionfo.

Gesù è consapevolmente dipinto da Piero della Francesca al di fuori delle regole prospettiche che imporrebbero una veduta dal basso, così come avviene per le teste dei soldati. Egli, infatti, come ampiamente descritto nel suo De prospectiva pingendi, aveva piena padronanza delle tecniche di rotazione dei corpi nello spazio: qui, invece, presenta Cristo come fosse sottratto alle leggi terrene e più che mai vicino all’osservatore. Proprio il fatto che la sua immagine – colta in una frontalità iconica e astratta – sia così solenne e maestosa, totalmente sovrastando i quattro soldati addormentati ripresi da un diverso punto di vista, vuole sottolineare la differenza tra la sfera umana e quella divina.

È alquanto probabile che il soldato senza elmo al centro dell’affresco sia l’autoritratto dello stesso Piero della Francesca. Dietro di lui si trova la base del vessillo retto da Cristo, quasi a voler indicare un suo diretto contatto con la divinità; contatto che possa così ispirare sia il pittore che l’uomo politico, visto che egli ricoprì più volte incarichi pubblici per la sua città. È altresì verosimile che il vessillo sia un riferimento al primo regno di Gerusalemme (instaurato al termine della Prima Crociata) e alla raccolta delle sue leggi che erano note come “Lettere dal Santo Sepolcro”: tutto ciò per dare continuità storica e per avere una legittimazione delle decisioni che si prendevano nella sala dove l’affresco era esposto, sede del governo cittadino.

La linea dell’orizzonte mette in risalto le spalle e la testa di Cristo. Il cielo sullo sfondo, sfumato all’orizzonte come fossimo all’alba e punteggiato da nuvolette chiaroscurate, è tipico delle opere di Piero della Francesca. Così come tipiche sono quelle caratteristiche di alternanza cromatica che ricorrono nelle vesti dei soldati.

Altro tema dell’affresco è quello del sonno e della veglia, con il contrasto tra la parte inferiore e terrena dei soldati e quella superiore della divinità, che sempre vigila.

Giovane artista a Firenze durante il Concilio Ecumenico del 1439, Piero della Francesca deve aver osservato, nelle varie cerimonie, le icone portate dai prelati orientali. Se, quindi, la sua arte sembra voler restituire al naturalismo rinascimentale qualcosa della ieraticità bizantina, dall’altra riesce anche a cogliere la poesia del mondo classico e, strutturata da principi matematici, comunica un misticismo razionale fuori del tempo. Nella bellezza del suo Risorto, infatti, l’artista toscano ci mostra un’anticipazione della perfezione futura dei nostri corpi glorificati, ponendo l’accento sulla presenza di Dio nella storia e nella vita dell’uomo.

Così, Piero della Francesca ci comunica perfettamente il paradosso della fede in un Salvatore morto e risorto. La sua composizione, infatti, gioca sul contrasto tra la linea orizzontale della tomba, con i soldati assopiti per terra, e quella verticale di Cristo che si staglia contro il cielo, con la verticalità del corpo eretto vieppiù rafforzata dal vessillo della vittoria pasquale e dagli alberi ai due lati.

Al centro dell’affresco, tra la morte dell’inverno e la resurrezione della primavera, campeggia un Cristo in cui il vigore del corpo contrasta con la stanchezza del volto: è, questa, una delle poche raffigurazioni della resurrezione dove viene suggerito nel Vivente la recente esperienza della morte.

Con uno sforzo di sintesi ispirato, Piero della Francesca è riuscito a creare un’immagine stabile ma non statica, dinamica ma non agitata, in cui l’equilibrio delle componenti rimane in vitale tensione. Il Cristo dal volto bizantino è anche un atleta che, col piede sinistro, sta per sollevarsi. Anziano di giorni eppure novissimo, Egli rivela il mistero di un Verbo di vita che l’uomo riconosce, mediante la fede nella resurrezione del Figlio di Dio, nella propria carne.

Apice di una piramide alla cui base è la morte, questo Cristo – gravemente bello – annuncia l’inesorabile trionfo della vita. I suoi occhi, che hanno visto la debolezza umana, ora guardano oltre, alla forza del Dio fedele.