Il progetto di carità e un libro su Haiti

Davanti al progetto di carità per la quaresima 2022 – “Haiti una scuola per ricostruire il futuro” – diverse potrebbero essere le riflessioni che sentiamo nascere, soprattutto in questo periodo difficile per il mondo intero, dove la violenza, i massacri, il dolore ha bussato da vicino alla porta del nostro continente.
Risuonano altresì i drammi che diversi popoli del mondo continuano ad attraversare. Le invocazioni alla pace risuonano per l’Afganistan, la Siria, il Myanmar, il Sud Sudan, l’Etiopia, il Congo, solo per citarne alcuni, a cui si aggiungono paesi come Haiti toccati sia da calamità naturali sia da violenze interne che continuano a rendere il paese uno dei più insicuri al mondo, ma soprattutto uno dei più poveri, dove manca tutto.

Cos’è Haiti? Questa domanda è posta nella prefazione di un libro di Lucia Capuzzi, giornalista dell’avvenire che abbiamo incontrato recentemente nell’incontro di febbraio 2022 e che ci ha parlato dell’enciclica papale “fratelli tutti”. Il libro “Haiti – il silenzio infranto” è frutto del suo viaggio in quella terra martoriata dopo il terremoto del 2010. Un punto di partenza per comprendere la situazione di una terra complessa e di un popolo dalla storia travagliata.
CONOSCERE forse ci può far sentire più vicini, ci sprona a non dimenticare, ci invita a scoprire l’umanità che là abita. E il disastro del 2010 ha avuto l’occasione di “far scoprire Haiti e la sua crudele realtà: di vedere l’intreccio di degrado, miseria primordiale, fame insaziabile, violenza, soprusi, ma anche speranza ostinata e orgoglio di vivere che si nasconde dietro le macerie del terremoto…”
Questo libro – che si consiglia a chiunque voglia cercare di conoscere e comprendere qualcosa in più della realtà haitiana – racconta, attraverso le voci dei suoi abitanti e di chi ha scelto di lavorare al loro fianco, quel che era Haiti prima che la terra tremasse e quel che è stato anche dopo: “un posto in cui vivere era una scommessa quotidiana: perché quando mangiare, bere, lavarsi, dormire, cioè ogni necessità elementare diventa il risultato di una lotta estenuante, altro spazio non c’è per immaginare, pensare o progettare un futuro….” La metà dei bambini si ammalano di fame. Sono malnutriti e quindi più esposti alle infezioni.
Toccante è la testimonianza di un bambino che, alla domanda di quale fosse il suo sogno più grande, risponde: “andare a scuola”. “In realtà tanti di loro non hanno mai potuto farlo. Pierre, nato in una bidonville della capitale, da ragazzino ha trascorso sette anni come ragazzo di fiducia di un boss locale. Invece di imparare a leggere e scrivere, a dieci anni ha imparato a rubacchiare nel quartiere. A tredici ha cominciato a sparare. A quindici ormai sapeva maneggiare ogni tipo di pistola.”
Anche le autorità preposte agli aiuti per la ricostruzione si sono poste la domanda “da dove cominciare?” Perché i problemi sono strazianti, ovunque. Se ci si allontana dalla capitale, si entra in un universo di selvaggia desolazione. E da decenni Haiti è quasi totalmente dipendente dagli aiuti internazionali.
Alla conclusione del viaggio Lucia si è sentita rivolgere questo saluto da un sacerdote che vive sull’isola: “in francese, la parola speranza si traduce in due modi: ESPOIR, la speranza razionale, ed ESPERANCE, quella che ti porta a credere, a sperare, a proseguire ostinatamente anche quando sarebbe ragionevole lasciarsi andare. Ad Haiti, anche quando sembra che non ci sia più espoir, rimane sempre tanta esperance.”
Esperance che con i frutti delle nostre rinunce quaresimali possiamo contribuire a dare ai bambini di Haiti per poter andare a scuola, luogo base di ogni libertà, di ogni sviluppo, di ogni capacità di futuro, in un paese dove il futuro sembra essere scomparso.