“Il diavolo nel cassetto”. Le tentazioni al giorno d’oggi

Che cosa induce la gente a scrivere, se non questo vago timore di non aver fatto abbastanza per garantirsi un seguito di vita?
Immaginate una cittadina svizzera incastonata tra le montagne, un piccolo paesino di mille anime, in cui tutti gli abitanti – o quasi – sono aspiranti scrittori. Qui si dice che abbia soggiornato per un paio di notti Goethe e, nonostante siano passati due secoli da questo presunto evento, nel paesello di Dichtersruhe (un nome fittizio che letteralmente significa “il riposo del poeta”) aleggia ancora lo spirito dello scrittore del Faust: ognuno ha nel proprio cassetto un manoscritto e, anche se all’apparenza l’arte del comporre può sembrare solo un passatempo, tutti continuano a scrivere e a inviare i propri manoscritti alle case editrici più disparate, sperando che – prima o poi – il loro libro veda la luce.
Ora, invece, immaginate che un giorno, all’improvviso, arrivi in città un editore volenteroso di prendersi l’onere e l’onore di pubblicare le opere più meritevoli degli abitanti. Sarebbe una bella fortuna, no? E se, però, l’editore, il dottor Fuchs (cognome che in italiano significa “volpe”), non fosse a Dichersruhe per cercare un libro da dare alle stampe? Se proprio lui fosse il diavolo in persona, tentatore degli aspiranti scrittori?

Ne Il diavolo nel cassetto tutti raccontano qualcosa. Oltre a ciò che viene messo nero su bianco dagli abitanti del paese, anche la storia di Dichtersruhe è raccontata da padre Cornelius, un prete che era stato inviato nella cittadina svizzera con il compito di aiutare il vecchio parroco, a un ragazzo che è alla ricerca di una storia da pubblicare. E non solo. Tutta la narrazione è basata sull’idea di un manoscritto di un autore anonimo ritrovato casualmente.
Con una storia del tutto fuori dal comune, Paolo Maurensig mette a nudo uno dei peccati per eccellenza dell’uomo: la vanità. E qual è il modo migliore per analizzarla se non con la scrittura, il mezzo con cui ogni uomo ha sempre cercato di lasciare qualcosa di sé anche ai posteri, per essere ricordato? Citando un passo del libro: «Che cosa induce la gente a scrivere, se non questo vago timore di non aver fatto abbastanza per garantirsi un seguito di vita? Per questo bisogna mostrarsi, far circolare il proprio nome, la propria immagine, riflettersi negli occhi degli altri.»
E così, come il Faust di Goethe (e della precedente tradizione letteraria) stringe un patto con il diavolo per avere la sapienza assoluta, anche gli abitanti di Dichersruhe, accecati dai loro desideri, stringono la mano al dottor Fuchs, sancendo in questo modo un tacito accordo.
Nelle poche pagine di questo lungo racconto, l’autore riesce a scavare nel profondo dell’anima umana, mostrando come sia possibile cadere in tentazione, nonostante tutti i buoni propositi, e come spesso nulla sia mai come appare. Il diavolo nel cassetto a volte non parla apertamente al cuore dei lettori, ma penetra ugualmente in profondità grazie alle analogie che mette in scena. Anche la simbologia utilizzata è ben pensata: un esempio, la volpe, animale che compare molte volte tra le pagine del libro, nella simbologia cristiana è stato spesso associato non solo alla passione, dato il suo colore, ma anche – più genericamente – al peccato. Quindi, quale miglior nome poteva essere dato al diavolo in persona? E quale miglior animale poteva essere preso come emblema delle vicende che vengono narrate da Paolo Maurensig?