Il cieco nato. Quarta domenica di Quaresima

Sono tre i dipinti, realizzati dallo stesso autore – Doménikos Theotokòpoulos, detto El Greco – nello spazio di pochi anni, che ci aiuteranno a capire il Vangelo di questa domenica: l’incontro di Gesù con un uomo cieco dalla nascita. A una prima occhiata essi sembrano – se non esattamente uguali – molto simili; ma hanno delle varianti estremamente significative, che ci permett0no di entrare nel cuore del racconto di Giovanni.
El Greco nasce a Creta nel 1541 e compie la sua prima formazione in una delle numerose botteghe dell’isola, per apprendere l’arte delle icone: all’età di ventidue anni era già un maestro, ma il suo stile rivela il desiderio e la volontà di imitare i grandi artisti veneziani del suo tempo. Intorno al 1567 si trasferisce a Venezia per completare la sua formazione e può finalmente vedere le opere dei grandi del tempo: Tiziano, Tintoretto, Veronese e Bassano. Lì scopre la prospettiva del colore; passa dalla dimensione spirituale delle icone alla narrazione occidentale, migliorando la struttura delle sue composizioni e dipingendo in modo più fluido.
Nel 1570 si trasferisce poi a Roma e viene accolto nella cerchia di artisti protetti e sostenuti dal potente Cardinale Alessandro Farnese.
Nel 1577 si sposta prima a Madrid e infine a Toledo, dove realizza le sue opere più mature e dove muore nel 1614, lasciando in eredità un gran numero di opere che diventeranno un importante punto di riferimento per gli artisti delle avanguardie del Novecento come Picasso, Chagall, Modigliani e molti altri (sarà proprio Picasso a descrivere El Greco come l’unico pittore cubista prima di lui, affermando anche che fu proprio la visione delle sue opere a suggerirgli l’invenzione del Cubismo).
Siamo al capitolo 9 del Vangelo di Giovanni: dentro la narrazione della guarigione del cieco nato si annodano i temi della luce e del “vedere”, che è all’origine della fede.
«Passando, vide un uomo cieco dalla nascita…» (Gv 9,1): l’iniziativa è di Gesù. È lui che vede per primo; ed è solo grazie a questo Suo primo sguardo che anche noi possiamo allora giungere a vedere. Il cieco nato riassume l’umanità intera: tutti noi, in fondo, siamo ciechi e chiamati progressivamente alla luce vera, Gesù.
Lo scrittore statunitense Henry Miller ci ha regalato questo aforisma: «La nostra meta non è mai un luogo, ma piuttosto un nuovo modo di vedere le cose». La fede cristiana è proprio questo: un nuovo modo di vedere le cose e di dare un giudizio sui fatti guardando a Cristo. “Guardare” e “vedere” non sono sinonimi. Dice il vocabolario della lingua italiana: “guardare” vuol dire soffermare lo sguardo su qualcosa o qualcuno; “vedere”, invece, significa percepire con gli occhi: richiede, cioè, anche un’operazione mentale.
El Greco ci narra l’episodio del cieco nato con una scansione in tre tempi, proprio come l’evangelista Giovanni ci racconta l’episodio in tre scene: la prima, con Gesù di fronte al cieco nato; la seconda, dove Gesù è assente e il miracolato discute con conoscenti e farisei; la terza, che vede di nuovo la presenza di Gesù, nella quale il cieco guarito arriva alla fede piena con una sua progressiva presa di coscienza dell’identità di Gesù: prima «uomo» (Gv 9,11), poi «profeta» (Gv 9,17), infine «Signore» (Gv 9,38).
Il tutto accade in giorno di sabato, nella cornice liturgica della festa delle Capanne, che rievoca il soggiorno dei padri nel deserto durante l’esodo nonché il miracolo dell’acqua scaturita dalla roccia. Per questo, allora, Gesù manda il cieco alla piscina di Siloe, il cui nome significa – come dice, non certo casualmente, il testo giovanneo – “Inviato”. Sono proprio tali elementi che permettono a Gesù di rivelare la sua piena identità: Egli è la luce del mondo, la via (l’Inviato del Padre), la verità (la luce), la vita (l’acqua), il Signore del Sabato.

La prima delle tre tele di El Greco che ritrae l’episodio del cieco nato si trova oggi a Dresda. Gli studiosi la datano attorno al 1567, quindi all’inizio del suo soggiorno veneziano.
L’incontro fra Cristo e il cieco è collocato sul lato sinistro e la piscina di Siloe è posta in primo piano, ben evidente, quasi a voler evidenziare che anche se Gesù (il vero “Inviato”) sembra violare la legge del sabato, non si oppone però al cammino di obbedienza cui vincola la tradizione: Egli non guarisce direttamente il cieco, ma lo manda all’acqua della piscina.
Accanto a essa, in primo piano, c’è un cane, simbolo di fedeltà. Cristo guarisce di sabato non per una volontà di trasgressione, ma per una profonda fedeltà al precetto ‘vero’ del sabato, che riguarda la salvezza personale dell’uomo, di cui la guarigione fisica è segno e promessa.
L’evidente agitazione che muove i due gruppi di persone alla sinistra di Gesù (i discepoli che si interrogano su chi è responsabile per la cecità dell’uomo? O i farisei che si rifiutano di ‘vedere’ anche davanti all’evidenza?) dice bene il clima che El Greco dovette respirare a Venezia, una città che aveva stretti contatti con le comunità tedesche, profondamente scosse dalle lotte scatenate dalla Riforma luterana e dalla conseguente Controriforma cattolica.
C’è, poi, un altro personaggio (uno dei discepoli?), posto esattamente dietro il miracolato che si china a guardare da vicino i gesti di Gesù. È la personificazione di ogni credente, di ognuno di noi, che si china sul mistero cercando sinceramente di capire e di “vedere”, di interiorizzare quel che il Maestro ci insegna.

Attorno al 1570 El Greco dipinse poi una seconda tela, che è oggi a Parma. Qui, l’iniziativa divina è assai più evidente: Gesù, infatti, si trova quasi al centro della scena. Realizzando una scenografia vicina alle vedute del Tintoretto, El Greco separa Cristo dall’architettura circostante mediante l’allontanamento vertiginoso del punto focale della prospettiva. Appare evidente la formazione veneziana ma, soprattutto nell’accentuazione classica delle forme, si registra anche l’influsso del suo rapido soggiorno romano.
In quegli anni Roma, più lontana dai paesi d’oltralpe, godeva di un clima totalmente differente di fronte allo scompiglio creato da Lutero: il ritorno a forme classicheggianti rivela il desiderio di affermare con solennità le certezze della propria fede cattolica.
La piscina di Siloe è ora alle spalle di Gesù, proprio per evidenziare che solo Gesù è il vero “Inviato”.
Il volto di Gesù è il punto più luminoso del quadro: Egli ha gli occhi abbassati verso il cieco e lo guarda in profondità. Perfino il taglio del suo vestito è orientato verso il punto focale prospettico, quasi a voler accentrare tutta la nostra attenzione proprio su di Lui, sul cieco e sul miracolo.
Alcune figure del dipinto ci colpiscono. Prima fra tutte la figura di spalle accanto al miracolato, che indica qualcosa. Molte e varie sono le interpretazioni proposte: qualcuno la identifica come un secondo cieco, poiché veste nello stesso modo del cieco nato, supponendo così che El Greco si sia ispirato al Vangelo di Matteo che narra, appunto, di due ciechi; altri lo vedono come un enigmatico personaggio che intende distogliere l’attenzione dei presenti dal miracolo: con tale espediente pittorico El Greco avrebbe voluto denunciare l’eresia protestante, che allontana l’uomo dalla verità.
L’ipotesi che preferisco è un’altra… Di fronte alla guarigione del cieco, che si consuma in uno sguardo, la città è chiaramente lontana, sia per lo sfondamento prospettico che si apre dietro al miracolo, sia per i vari gruppi che attorniano l’evento, dove nessuno, o quasi, si cura del cieco. La gamba dell’uomo di spalle, invece, si inserisce armonicamente nel movimento del braccio del cieco quasi creando un tutt’uno con esso. Potremmo così pensare possa trattarsi dello stesso personaggio che, ormai guarito, diventa capace di indicare per condurre altri a vedere la straordinarietà del miracolo.
Questo personaggio, dunque, potrebbe essere lo stesso cieco colto nel secondo momento della scena, quello in cui Gesù si è allontanato dalla folla: egli, infatti, veste in modo molto simile all’uomo inginocchiato al centro della scena e dice, con il suo abbigliamento, di essere stato guardato da Cristo nel profondo delle sue nudità. Il miracolato rimane solo davanti a quanti lo interrogano. Assai indicativi sono i colori degli abiti: il cieco inginocchiato davanti a Gesù è ricoperto solamente da un logoro drappo, lo stesso che indossa l’uomo in piedi; sotto la veste di quest’ultimo, però, si intravede qualcosa di azzurro, lo stesso colore del mantello di Gesù (che veste in rosso e azzurro, colori che rimandano alla sua piena umanità e piena divinità) quasi a volerci mostrare come la grazia di Dio ha iniziato a toccare, con la guarigione, quest’uomo che è così in cammino sulla via della conversione.
Ma cosa sta indicando? Un punto prospettico esterno e lontano. Come nel racconto giovanneo non sono in molti ad accogliere le sue risposte, così in questa tela l’invito a “guardare in alto” non è accolto se non da un solo personaggio con copricapo orientale. Tutti gli altri, invece, non guardano affatto, se non molto distrattamente. La maggior parte di loro, come bene descrive El Greco, non vogliono compromettersi: nemmeno riescono a “vedere” quello che succede.
Di nuovo, poi, come nella tela di Dresda, c’è il personaggio che si china a guardare da vicino il miracolo.
Infine, tra la folla, all’estrema sinistra, vi è un ultimo personaggio che guarda verso il pubblico. Che sia il ritratto dello stesso pittore giovanissimo o di un membro della famiglia Farnese, poco importa. Quel che conta è che lo sguardo rivolto a noi di questo misterioso personaggio è un chiaro interrogativo che l’artista rivolge a noi che guardiamo: chi è per noi Cristo? Un uomo? Un profeta? O l’Inviato del Padre?

Nella terza tela oggi conservata a New York, infine, l’indifferenza dei presenti è ancora più evidente. La piscina è scomparsa del tutto (solo Gesù, ormai, è l’Inviato) e in primo piano c’è una coppia che sembra rivestire il ruolo dei genitori del ragazzo. El Greco li presenta quasi come passanti distratti, per evidenziare l’atteggiamento di chi non vuole compromettersi con la verità. Proprio come i farisei, più tardi, continueranno a ripetere, come in una litania, la parola “sappiamo” («Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore»; «Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio…» [Gv 9,24. 29]), così anche i genitori del cieco nato si arroccano dietro questa parola («Sappiamo che questo è nostro figlio…» [Gv 9,20]) per rimanere fermi nelle loro meschine convinzioni senza darsi alcuna possibilità di apertura alla conversione e all’ascolto. L’espressione “sappiamo” (oidamen, in greco) si fa così carico delle certezze che essa esprime: “sappiamo”, “conosciamo”, dice tutta la resistenza che l’uomo oppone alle ragioni della fede.
Se guardiamo attentamente le tre figure che El Greco ritrae in questa terza tela – il cieco ai piedi di Gesù, l’uomo di spalle a sinistra e quello di spalle a destra – non possiamo fare a meno di notare una certa somiglianza tra loro, nonché un evidente rimando nei colori delle loro vesti. Non dimentichiamo che El Greco si potrebbe essere ispirato alla pittura di Duccio da Buoninsegna che spesso racchiudeva in un solo pannello – come in un modern0 “fumetto” –le diverse fasi di uno stesso racconto.
Il cieco nato veste un drappo arancio e resta in ombra rispetto al braccio e alla mano di Gesù che, invece, è in piena luce. Il personaggio che, accanto a lui, indica qualcosa fuori campo potrebbe essere lo stesso cieco, ormai guarito, che veste un drappo con i colori identici a quelli che indossa Gesù (anche se invertiti, proprio per rimarcare la diversità tra Cristo e il cieco). Come nella tela di Parma, anche qui l’azzurro è appena visibile: l’uomo è sì stato guarito, ma ancora deve maturare una piena comprensione e conversione. Egli è stato rivestito della grazia che viene dal vero “Inviato” di Dio che è il Cristo, Verbo del Padre. Il personaggio a destra, infine – impegnato nella diatriba con i farisei –, assomma nelle sue vesti i colori dell’uomo in ginocchio e dell’uomo di spalle. Sembra incarnare il cieco divenuto ormai discepolo che, proprio a memoria di quanto gli è capitato e della sua condizione iniziale (la parte arancio dell’abito), può ora pienamente testimoniare la sua appartenenza a Cristo (le parti rosse e blu dell’abito). Va notato come i colori tornino a essere nella stessa identica disposizione dell’abito di Gesù, quasi a sottolineare che in virtù della sua professione di fede («Credo, Signore!» [Gv 9,38]) anche il cieco guarito può diventare ora testimone e maestro per chi non crede.
Gesù conduce dunque il miracolato alla fede piena: alla fine, per lui Cristo è il “Kyrios”, il Signore. I colori delle sue vesti si accendono, mentre tutti gli altri personaggi sullo sfondo hanno vesti con una tonalità meno vivida. L’uomo guarito dalla cecità vede ora chiaramente dentro al mistero mentre gli altri – e, con essi, tutti noi – devono far propria la domanda dei farisei che chiude il capitolo: «Siamo ciechi anche noi?» (Gv 9,40). Questo è l’interrogativo che ci rivolge anche l’uomo all’estrema sinistra, ancor più defilato di quello ritratto nella tela di Parma, ma che, prima di uscire dal quadro, ci rivolge questa ultima fondamentale domanda per la nostra piena conversione a Gesù.
Terminiamo dunque ritornando a Miller ed al suo “nuovo modo di vedere le cose”. Quando nei Vangeli si parla di Gesù il verbo greco “guardare” è impiegato in tre espressive varianti:
- guardare “attorno”: tutti ammutoliscono, intimoriti e affascinati, quando Gesù gira attorno i suoi occhi;
- guardare “dentro”: quando Gesù “guarda dentro” le persone, quasi a voler arrivare al loro cuore, i suoi occhi impressionano;
- guardare “in alto”: per rivolgere la preghiera al Padre suo.
Anche il cieco guarito compie questo cammino.
Si guarda “attorno” e si ritrova solo, abbandonato dai genitori, circondato da diffidenza e curiosità, accusato e allontanato dalle autorità: è guarito, ma non vede nessuno attorno a sé.
Si guarda “dentro” e scopre che la sua solitudine è l’unico male che non può vincere da solo: ci vuole un Altro.
Infine, guarda “in alto”: «Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui» (Gv 9,38). Alla fine, quest’uomo comprende che vale la pena rischiare tutto per Gesù e vede in Lui il suo Signore.
In fondo, come diceva la volpe al Piccolo Principe: «L’essenziale è invisibile agli occhi».