II Feria Prenatalizia dell’Accolto

José Camarón y Bononat (1731-1803) – L’Arcangelo Gabriele (1775 circa)
olio su tela (54×43 cm) – Museu de Belles Arts de València, Spagna

martedì 19 dicembre (Vangelo di Luca 1,19-25)

19L’angelo gli rispose: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. 20Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo».

21Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. 22Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.

23Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. 24Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: 25«Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini».


In questa seconda domenica di Avvento Ambrosiano continuiamo la nostra meditazione sui Vangeli della settimana che precederà il Natale, commentando il brano di Luca del martedì (Lc 1,19-25). E lo facciamo con un’opera di un’artista pressoché sconosciuto, José Camarón Bonanat, pittore e incisore di origine aragonese. Figlio e nipote d’arte, fu insegnante e anche fondatore dell’Accademia Reale di Belle Arti di Valencia. Ed è conservata proprio nel museo di questa città la deliziosa tela che ritrae, con una scelta stilistica e coloristica tipicamente rococò, l’Arcangelo Gabriele, che facciamo assurgere a protagonista della nostra riflessione.


Pur in un’opera così piccola, e con un unico protagonista, numerosi sono gli spunti.

La presenza del giglio, innanzitutto. Già nella mitologia greca questo fiore significava amore, fedeltà e procreazione, in quanto esso era nato dalle gocce del latte di Era – moglie di Zeus – che erano cadute sulla Terra mentre allattava Ercole. E, ancor di più, il giglio viene fatto proprio dall’iconografia cristiana. È uno dei fiori più raffigurati e viene associato alla Vergine Maria (alludendo all’innocenza, al candore, alla verginità e alla purezza), all’Arcangelo Gabriele (soprattutto nei dipinti dell’Annunciazione), a San Giuseppe, sposo di Maria (là dove vuol significare amore puro e santità). Nell’Antico Testamento questo fiore è simbolo di bellezza, purezza, innocenza e fragilità. Pensiamo alla vicenda di Susanna (il cui nome è richiamato dalle lettere ebraiche – שׁוֹשָׁן, “shin” – che compongono il termine giglio, ripetute due volte), ingiustamente accusata di adulterio da due anziani che testimoniano il falso contro di lei (Daniele 13,1-64), il cui nome – Susanna/giglio – diventa così simbolo di onestà, nobiltà d’animo e testimonianza di Dio che ascolta il grido dell’innocente la cui vita è in pericolo, liberandolo in modo inatteso. Questo fiore è poi presente, come simbolo di salvezza, nell’oracolo del profeta Osea: «Sarò come rugiada per Israele; fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano» (Osea 14,6). E, ancora, nel libro del Siracide (Sir 39,14), così come nel Cantico dei Cantici (Cant 2,1-2). Nel Nuovo Testamento, infine, il riferimento al giglio è presente nel “discorso della montagna”, quando Gesù esorta le folle a non lasciarsi prendere dall’affanno della vita e ricorda che il Padre celeste ha cura dei suoi figli: «Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,28-29).

Poi, il dito alzato verso l’alto. Sottolinea che, pur essendo importante, Gabriele è solamente colui che annuncia: non il suo volere, ma quello di Dio, di un Altro più importante. È bello notare come questo indice alzato verso il cielo sia lo stesso che troviamo, nell’iconografia del Battista, in moltissimi dipinti che lo ritraggono nel momento che indica l’agnello di Dio venuto dal cielo, per rimarcare che il Figlio di Dio si è incarnato per la redenzione di ogni uomo. È un dito che ammonisce ciascuno di noi ad avere fiducia, ad ascoltare quel “respiro” del divino di cui parlavamo domenica scorsa. Gabriele sembra ammonire Zaccaria – e, con lui, ciascuno di noi – ad avere fede; ci esorta a non aver paura di lasciare che la nostra quotidianità venga trasformata e trasfigurata dal progetto di un Dio che ci ama, a chiudere gli occhi e ascoltare il soffio lieve, ma potente, dello Spirito di Dio che sconvolge i nostri piani e la nostra esistenza: di quella “ruah”, che in ebraico è – non a caso – vocabolo femminile e, come tale, generatore di vita, fecondo, come scritto all’inizio della Bibbia («La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Genesi 1,2)).

Infine, quasi a rimarcare i simboli appena discussi, la scelta dei colori dell’abito di Gabriele: il bianco della tunica con il rosso della fascia che scende dalla spalla sinistra. Come già detto parlando del giglio, il primo è il colore che richiama la salvezza donata da Dio e la santità di coloro che accettano di lasciarsi coinvolgere nel Suo progetto. Il rosso è, invece, il colore del sangue, dell’amore, del fuoco e della fede. Da una parte, ci ricorda che Dio si incarna nella storia degli uomini e, se lo vogliamo, con Suo Amore la cambia; dall’altra, sottolinea la nostra fatica perché noi si accetti la Sua volontà, si apra – nell’esercizio della nostra libertà – il nostro cuore per far entrare la fiamma della fede. Visto che siamo fatti per incontrare, per una festa, uno sposo, un amore, una pienezza, una bellezza (come nella parabola delle dieci vergini: cfr. Matteo 25,1-13), il rosso indossato da Gabriele ci rammenta che dobbiamo dare fondo a tutte le risorse che abbiamo, prepararci a cose grandi. Perché ciò che ci attende è grande: dare una mano a Dio che continua a creare. Ci chiede di non lasciar spegnere la fiamma delle cose (lasciamoci ispirare anche dalla poesia contemporanea, con la «multanime fiamma» di Clemente Rebora; o con «la vita xe fiama» di Biagio Marin).

Concludiamo, quindi, la nostra riflessione con le parole di Papa Francesco all’Angelus del 27 novembre 2022: «Dio è nascosto nella nostra vita, sempre c’è, è nascosto nelle situazioni più comuni e ordinarie della nostra vita. Non viene in eventi straordinari, ma […] si manifesta nelle cose di ogni giorno. Lui è lì, nel nostro lavoro quotidiano, in un inc0ntro casuale, nel volto di una persona che ha bisogno, anche quando affrontiamo giornate che appaiono grigie e monotone, proprio lì c’è il Signore, che ci chiama, ci parla e ispira le nostre azioni».

Buona domenica!