«Ecco, a te viene il tuo re». Quarta domenica di Avvento

Mt 21,1-9

1Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, 2dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. 3E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: «Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito»». 4Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: 5Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma.

6I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: 7condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 8La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. 9La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».

– – – – – – – – – –

In questa quarta domenica di Avvento, la liturgia ci propone il Vangelo dell’entrata di Gesù in Gerusalemme. E lo commentiamo con un’opera di un artista napoletano contemporaneo, chiamato a realizzare, nel 2008, alcune delle tavole inserite in quella edizione del Lezionario. Tra le cinque opere a lui affidate c’è proprio l’Ingresso di Gesù a Gerusalemme.

Inizia, qui, il cammino del Maestro verso la croce e la resurrezione: e la versione di Matteo lo pone sotto il segno del «compimento della parola profetica» (versetti 4 e 5). La citazione del profeta Zaccaria («Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina»: Zc 9,9) colloca Gesù sulla scia del re «giusto, salvato e umile» (secondo il testo ebraico). Ma è significativo che l’incipit del passo di Zaccaria – che invita Gerusalemme alla gioia – venga sostituito da Matteo con una citazione di Isaia: «Dite alla figlia di Sion […]» (Is 62,11). In questo modo l’ingresso di Cristo nella città diventa una “parola” rivolta a Sion, un annuncio che la interpella, ma a cui la città stessa non risponderà con la gioia, bensì con il turbamento e la diffidenza: «[…] tutta la città fu presa da agitazione e diceva: “Chi è costui?”» (Mt 21,10). La pagina evangelica ci suggerisce, dunque, che gli eventi della vita e della storia, colti alla luce della Scrittura, diventano una “parola” che al credente chiede un discernimento. Discernimento che dev’essere particolarmente profondo per poter cogliere il senso di questo ingresso che appare assolutamente modesto e quotidiano. Il Maestro ripete un gesto altre volte compiuto: manda due discepoli davanti a sé nel villaggio in cui stanno per entrare (cfr. Lc 9,51-52; Lc 10,1) e, dopo aver dato disposizioni perché prelevino una cavalcatura, sale sull’asina ed entra in Gerusalemme. A nessuno di noi sfugge quello che l’evangelista ci mette di fronte: la quotidianità. Quelli di Gesù sono gesti e parole di tutti i giorni; ma è proprio qui – ci dice Matteo – che si compie la Scrittura. Nulla, infatti, esiste al di fuori del consuetudinario, che è fatto di ripetitività, di atti sempre da rifare e di parole sempre da ridire e che ci possono logorare se non riusciamo a vivificarli dall’interno; che è capace di intontire e inebetire se vissuto senza consapevolezza.

Tale attento discernimento è richiesto per cogliere in profondità il senso di questo gesto di Gesù. Che cosa sta dicendo alla città di Gerusalemme? Che cosa avviene realmente? Il testo presenta l’ingresso di un re nella sua città come avveniva comunemente nell’antichità. E il Maestro mostra padronanza di sé e della situazione: ordina, comanda, dispone. Ma tutta questa autorevolezza è a servizio di un sentire e pensare che presiede al suo agire a che lo porta a scegliere consapevolmente la via della mitezza come segno caratterizzante il suo ingresso regale in Gerusalemme. Matteo, infatti, cita Zaccaria mantenendo solamente l’attributo della “mitezza” del re che entra nella città santa e omettendo gli altri due elencati dal profeta. E la mitezza del “Messia” Gesù (cfr. Mt 11,29) consiste nello scegliere intenzionalmente la via della non-violenza, del rispetto e dell’agire pacifico. Questo re è “debole”; ma lo è grazie alla “grande forza” che sta alla base della sua scelta di rispondere alla violenza della croce col perdono e la misericordia, rinunciando al potere e alla forza. Siamo davvero di fronte a un gesto profetico. Entrando nella città su un puledro d’asina, Cristo sottolinea ed esalta la mitezza quale vera qualità messianica. Che lo porta a fare gesti già presenti nelle Scritture, ma che prendono un nuovo significato quando divengono carne ed evento. Il Maestro, qui, sta portando a compimento la Scrittura, sta cioè dando la sua carne e la sua persona, la sua voce e i suoi gesti, la sua intelligenza e le sue energie alla Parola di Dio: Gesù sta parlando con la Sua vita! Per Matteo, non solo il cammino di Cristo verso la città diventa una “parola” rivolta al Gerusalemme, ma Lui stesso è ormai solo “Parola”. Il Gesù che entra in Gerusalemme è parola che interpella; è parola infinitamente libera.

Guardiamo, allora, l’opera di Pagano: l’artista concentra l’episodio proprio sull’entrata, raffigurando Cristo nel preciso istante in cui varca la porta della città di Gerusalemme. È quasi un’apparizione, una ierofania. Con pochi tratti sostanziali e con l’uso sapiente del chiaroscuro evidenzia l’essenzialità di ciò che Cristo ci vuole insegnare, di Gesù “Parola” che parla al nostro cuore di uomini.

Quello che l’artista napoletano dipinge dietro la porta d’ingresso a Gerusalemme – che diventa, quasi, una prefigurazione della pietra tombale che verrà trovata aperta la mattina del giorno di Pasqua – è un re “indefinito”, “vuoto”, che va riempito e colorato da ciascuno di noi. È il discernimento di cui parlavamo prima: tutti coloro che lo aspettano devono chiedersi cosa sta succedendo; devono guardarsi dentro, esercitando la propria libertà per dare contenuto alla regalità dell’uomo che, su un umile «puledro, figlio di una bestia da soma» (v. 5), sta entrando a Gerusalemme tra le acclamazioni di esultanza delle folle. Sta a ognuno di noi la fatica di scoprire – all’interno del lucore che sembra emergere dai grigi-ocra della silhouette di Gesù – qual è il volto del Figlio di Dio, quel volto attraverso il quale – come ci dice l’evangelista Giovanni – «[…] chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre» (Gv 12, 45-46).

Non c’è traccia, nel dipinto di Pagano, delle moltitudini osannanti, che attendono al di qua della porta la manifestazione regale di Gesù. C’è solo il silenzio, il silenzio di un Messia che ci interpella, che aspetta la nostra risposta, che interroga la nostra libertà con la domanda fondamentale per la nostra vita di fede: «Chi è costui?» (Mt 21,10).

Nel brano di Matteo, le folle plaudenti sembrano fare di Gesù un uomo di successo (esiste anche il successo religioso, con dinamiche assolutamente analoghe a quello mondano). In realtà, stride la presenza del Maestro che non dice nulla. Dal Suo silenzio emergono una serie di domande che valgono per loro, ma – ancor di più – per noi che leggiamo il Vangelo: la gente e i discepoli capiscono davvero ciò che sta accadendo? Capiscono ciò che è veramente essenziale? Capiscono l’agire di Cristo? Capiscono Lui – Parola vera – e la lezione di libertà che sta dando loro? Capiscono la mitezza messianica? L’episodio in cui di nuovo entrerà in scena una grande folla tumultuante che chiede a Pilato di rilasciare Barabba e di condannare Gesù (cfr. Mt 27,20-26) suggerisce una risposta negativa.

In questo Avvento, dunque, auguriamoci che il cammino di Gesù interpelli anche noi, i nostri percorsi personali, il nostro itinerario ecclesiale, i modi e le forme del nostro procedere da cristiani tra gli uomini. Chiediamoci se il nostro è un cammino verso la libertà del Maestro o se, invece, segue logiche asservite a modi di pensare e di sentire che sono sempre e soltanto mondani.

Ecco il re che nascerà a Natale, ci dice l’opera di Pagano. È un re nascosto che opererà miracoli chiedendo in cambio il silenzio; che parlerà in parabole perché gli ascoltatori lo vadano a interrogare sul loro significato; che donerà – a tutti, sempre – amore a piene mani, riflesso vivente del Padre misericordioso della parabola (che sarebbe più bello chiamare del “Padre prodigo”, prodigo di un amore infinito); che si spende e si dona senza misura. Ma che chiede l’attenzione alla presenza del Regno di Dio e la conversione del cuore.