«Doveva dare testimonianza alla luce». Quinta domenica di Avvento

Gv 1,6-8.15-18

6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.

[…]

15Giovanni […] proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. 17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

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Siamo ormai in prossimità del Natale e per la terza – e ultima – volta il Vangelo della domenica dell’Avvento ambrosiano ci propone di riflettere sulla figura di Giovanni Battista, che oggi dà chiara e forte testimonianza alla luce vera. Ed è una luminosissima tavola di un anonimo artista (si ipotizza l’olandese Hugo Jacobsz) – dipinta nel primo decennio del XVI secolo e oggi custodita negli Stati Uniti, al Philadelphia Museum of Art – che ci aiuta a rendere vivido e presente questo messaggio del Precursore.

L’artista ha dipinto Giovanni Battista e Cristo con abiti simili, quelli semplici ed essenziali del profeta, di chi si preoccupa solo di ciò che è davvero necessario. Il Battezzatore e i suoi discepoli sono sulla sinistra della tavola. Con la mano destra, Giovanni indica Gesù e i suoi seguaci, che stanno passando sulla strada dall’altra parte. Tutti sono all’interno di un giardino chiuso da un cancello sullo sfondo, che presto si spalancherà affinché il ministero di Cristo possa irrompere nel mondo.

Il quadro è tutto un sapiente gioco di sguardi. Quelli attoniti e interrogativi – talvolta anche un po’ torvi – del gruppo di uomini sulla sinistra: colui che fino a quel momento avevano riconosciuto come loro maestro li ha messi in subbuglio, scandalizzandoli e destabilizzando le loro certezze, indicando un altro – «Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me» (v. 15) – come il vero Messia da seguire. E quelli attenti e indagatori dei discepoli di Gesù. Su tutti, però, ecco gli sguardi acuti dei due maestri: espressivi e penetranti gli occhi di Giovanni, colui che il profeta Isaia aveva indicato come «il mio messaggero: egli preparerà la tua via» (Mc 1,2); limpidi e sereni quelli di Gesù che – come molto spesso succede quando qualcuno lo incontra nel racconto dei Vangeli – fissa lo sguardo sul Precursore.

Nel Vangelo di questa quinta domenica di Avvento, Giovanni non usa giri di parole: afferma in modo esplicito che «non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce» (v.8). Non era lui il Messia, ma solo uno che preparava la strada. E tutto ciò gli dà gioia, la gioia che riempie il cuore dell’amico dello sposo che ne organizza la festa di nozze (cfr. Gv 3,29). Il Battista indica assai chiaramente a chi orientarsi, a chi dedicare la vita, a chi volgere lo sguardo. Giovanni dice con fermezza a chi dobbiamo guardare. A lui fa eco Paolo nella lettera ai cristiani di Corinto: «Noi infatti» – scrive – «non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù» (2Cor 4,5). Tutto ciò per definire senza ambiguità alcuna quali devono essere il compito, la missione e la passione della Chiesa: dire al mondo intero, con la vita e la testimonianza, che la gloria di Dio risplende sul volto di Gesù.

Anche il profeta Isaia ce lo ricorda: «Non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: “Questa è la strada, percorretela” caso mai andiate a destra o a sinistra» (Is 30,20b-21). È Gesù la luce vera, il Maestro da guardare e da ascoltare. È su di Lui che dobbiamo scommettere la nostra esistenza; è nei suoi occhi pieni d’amore che dobbiamo fissare i nostri. È, questa, una dimensione da recuperare, una dimensione bellissima: tutti, nella Chiesa, dal primo all’ultimo, dobbiamo sentirci discepoli. Tutti, come insegna Gesù, dobbiamo essere fratelli.

È ciò che ci mostra il quadro di Philadelphia. Oltre a Giovanni Battista e a Gesù, solo i discepoli di quest’ultimo hanno l’aureola; proprio per sottolineare il fatto che è solo mettendosi alla sequela di Cristo – «il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre» (v. 18) – che si può davvero conoscere l’amore di Dio. È solo riconoscendoci chiesa “discente”, bisognosa di imparare dal vero Maestro, che possiamo aspirare alla santità, ricordando le parole del Vangelo di Matteo: «Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo» (Mt 23,8-10).

L’altra immagine del già citato brano del Isaia è quella della strada, sottintesa nell’invito del Battista a seguire Gesù. Perché Gesù è un maestro itinerante: è – insieme – maestro e strada. Vivendo in prima persona ciò che insegna, senza porsi sul piedistallo del ruolo e del potere, diventa Maestro vero e autorevole: «Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi» (Mc 1,21-22).

Ascoltando Gesù, scopriamo che c’è vento in ciò che dice; guardando ciò che fa, scopriamo che c’è libertà nei suoi occhi. È come se ogni suo sguardo, ogni suo gesto e ogni sua parola ci aprissero una strada, una strada da percorrere.

Di nuovo, allora, osserviamo il dipinto di Philadelphia fissando la nostra attenzione su quello che è, nelle intenzioni dell’anonimo artista olandese, il suo vero centro focale: il volto di Gesù, i suoi occhi. Volto che si gira a guardare Giovanni e i suoi discepoli (e, attraverso di loro, ciascuno di noi). Occhi che si fissano sul Precursore, quasi a ringraziarlo del suo umile lavoro; occhi che si posano su ogni discepolo che si riconosce bisognoso di essere accolto e che mette in gioco la propria libertà per seguire il Maestro e arrivare al Padre; occhi che indicano una strada da percorrere. Ricordando le parole dell’evangelista Giovanni: «Gli disse Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?”. Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”» (Gv 14,5-7).

È la strada che si apre, nel dipinto, davanti a Cristo: una via tortuosa, che si apre verso un futuro incerto e sconosciuto e sulla quale percorrere un cammino dove ci saranno cancelli chiusi da aprire, difficoltà da superare e cadute dalle quali rialzarsi. Una strada, però, sulla quale camminare con il nostro sguardo ben fisso in quello di Gesù. Lui che è, solo, Maestro e strada. Maestro con i suoi occhi, nei quali trovare l’infinita misericordia del Padre.