«Comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo». Prima domenica di Avvento

1Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. 2Egli disse loro: «Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta».
3Al monte degli Ulivi poi, sedutosi, i discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: «Di’ a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo».
4Gesù rispose loro: «Badate che nessuno vi inganni! 5Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: «Io sono il Cristo», e trarranno molti in inganno. 6E sentirete di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, perché deve avvenire, ma non è ancora la fine. 7Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: 8ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori.
9Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. 10Molti ne resteranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda. 11Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; 12per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti. 13Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. 14Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine.
[…]
29Subito dopo la tribolazione di quei giorni, “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte”.
30Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. 31Egli manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli.
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È Matteo 24,1-14.29-31 il brano di Vangelo che introduce noi ambrosiani nel tempo d’Avvento e prefigura, in termini apocalittici, la seconda venuta di Cristo. Gli ultimi versetti parlano del Figlio dell’uomo che verrà «sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria», mandando «i suoi angeli, con una grande tromba», a radunare gli eletti e tutte le tribù della terra che «si batteranno il petto». Lasciamo, allora, che la nostra riflessione parta da uno degli innumerevoli “Giudizi universali” di cui la storia dell’arte è costellata: il “Giudizio Universale, Paradiso e Inferno”, oggi custodito nella Pinacoteca Nazionale di Siena e dipinto verso il 1465 – su un lungo pannello che era la predella di un’opera più ampia – da Giovanni di Paolo di Grazia (1395/1400 ca – 1482).
Fu, Giovanni di Paolo, uno dei più importanti protagonisti della pittura senese del Quattrocento. Nato e morto a Siena, lavorò per quasi tutta la vita nella sua città, diventando anche – oltre che prolifico pittore – illustratore di manoscritti, tra cui i testi di Dante. Dopo le prime opere, che mostravano l’influenza dei precedenti maestri senesi, elaborò un suo personalissimo stile caratterizzato da forme allungate e da colori freddi e duri, risentendo anche dell’influenza dei maestri del “gotico internazionale” (come, ad esempio, Gentile da Fabriano).
La sezione centrale del dipinto descrive la scena del Giudizio. Gesù scende attraversando cieli che rifulgono di luce solare, viene accolto da un coro di cherubini e pronuncia il suo giudizio con il braccio levato. Come in un tribunale, al Figlio dell’uomo fanno corona i dodici apostoli seduti sui troni, gli avvocati difensori Maria e Giovanni Battista, gli angeli trombettieri che risvegliano i morti, i profeti che, nell’Antico Testamento, avevano preannunciato ciò che ora sta accadendo. Subito al di sotto è la scena della risurrezione dei morti, che escono dai sepolcri sostando di fronte agli eventi, frastornati e increduli, sul bordo delle loro tombe. Una volta conosciuto il loro destino, è necessario un intervento celeste perché possano raggiungere il loro luogo di destinazione: sulla sinistra della predella gli angeli sollevano e abbracciano i risorti per introdurli in Paradiso; sulla destra, invece, troviamo l’arcangelo Michele che, con modi assai più spicci e brutali, minaccia i dannati con la spada sguainata spingendoli tra le braccia dei diavoli (il pittore senese ritrae, addirittura, un diavolo che vola per fermare un dannato che sta tentando la fuga).
Nella parte destra del dipinto troviamo l’Inferno, raffigurato come una montagna cava, ricca di grotte e difesa, nella parte inferiore, dalla doppia cinta delle mura della città di Dite. Il suo ingresso, invaso dalle fiamme, è sorvegliato da diavoli. Al di sopra della porta un demonio mostra il cartiglio in cui era forse riportata l’epigrafe dantesca: Lasciate ogni speranza voi ch’entrate. In alto è la caverna del Limbo, dove i bambini innocenti non subiscono sofferenze, ma vivono al buio, impossibilitati a vedere la gloria di Dio. Seguono molte altre grotte abitate da diverse categorie di dannati: gli iracondi (dove i dannati, mordendosi le mani, compiono gesti di autolesionismo), gli accidiosi (che non riescono a vincere la loro pigrizia nonostante siano punti, infilzati e cavalcati dai diavoli,), gli invidiosi (costretti ad attraversare le fiamme prima di finire nel lago gelato), i superbi (calpestati dai diavoli e trasformati in irridenti poltrone), gli avari (legati con i lacci che stringono i loro sacchetti traboccanti di monete), i lussuriosi (oscenamente palpeggiati e dileggiati) e i golosi (costretti al supplizio di Tantalo di fronte a una tavola imbandita, o costretti a ingoiare bocconi schifosi). Nell’angolo in basso, infine, sono anche raffigurati il supplizio di Sisifo (che spinge verso l’alto un masso che un diavolo ributta giù) e quello di Prometeo incatenato (cui un’aquila divora il fegato).
Nella parte sinistra del dipinto troviamo invece la rappresentazione del Paradiso, la sezione più curiosa della predella. Curiosa è, innanzitutto, la sua ambientazione: siamo in un vero e proprio orto botanico ricco di erbe, essenze e fiori multicolori, con orchidee, campanule e candidi gigli. Curioso è, sul fondo, il lussureggiante frutteto, con sei alberi carichi di frutti. Curioso è che tra i cespugli si rannicchino e saltellino dei leprotti, animali simbolo dell’esito positivo, della concretizzazione dei propri obiettivi, dell’entusiasmo per tutto ciò che è nuovo, alludendo all’anima che tende a Dio. Più che un Paradiso celeste lo si direbbe un Paradiso terrestre, un giardino delle delizie, un “locus amoenus”, un “hortus conclusus”. All’ombra di tale giardino, in un clima di sorpresa e di letizia, i beati ritrovano familiari, amici e colleghi: la loro gioia si scioglie in baci e in teneri abbracci, riprendendo le fitte conversazioni di un tempo. Tanti sono gli incontri: tra giovani e adulti, tra un fedele e un cardinale, tra due splendide fanciulle, tra due chierici con la cotta bianca, tra frati dello stesso convento e frati di diversi ordini religiosi. Paradigma di questo “Paradiso degli affetti” è il tenero abbraccio che suggella l’incontro tra Agostino e sua madre Monica, ormai entrambi santi. Ma come non sottolineare il particolare più tenero di questo Paradiso? È la presenza dei bimbi, introdotti nella letizia di questo luogo, che corrono tra i fiori e giocano a nascondino tra le tonache dei frati e gli scranni degli apostoli. Il pittore senese ha qui voluto spalancare i muri del Limbo, quel Limbo che abbiamo visto ritratto al margine dell’Inferno e che la severa teologia medievale aveva costruito intorno ai neonati morti nel peccato originale prima di poter ricevere il Battesimo. Più che una visione beatifica di Dio, questo Paradiso di Giovanni di Paolo è un’agape, è luogo di gioia degli affetti, di fraternità, di amicizia ritrovata, di accoglienza.
Davanti a questa visione di felicità, semplicità e, soprattutto, di speranza aggiungiamo, allora, a questa nostra riflessione sul testo evangelico della prima domenica dell’Avvento ambrosiano – tempo prezioso di attesa di un Dio che si fa uomo – la provocazione dataci da un’altra opera dello stesso artista senese: la “Natività e annuncio ai pastori”, custodita nei Musei Vaticani, che sposta la nostra attenzione sulla prima venuta di Cristo.
È, questa, una splendida scena notturna, nella quale san Giuseppe è raffigurato vecchio, addormentato accanto a un albero rinsecchito, che allude alla sua esclusione dalla nascita del Figlio di Dio. Le due donne alle spalle di Maria – le levatrici di cui narrano i Vangeli apocrifi – rappresentano da una parte l’umanità che crede (la donna che guarda verso la Vergine) e dall’altra quella dubbiosa (l’ancella che, invece, le volge le spalle). Sullo sfondo, un angelo illumina il cielo apparendo ai pastori, anche se la luce vera che viene nel mondo, assai più forte di quella dell’angelo, è quella che irradia l’umile Bambino, dimessamente posto sulla nuda terra.
L’augurio è che questa tavola, ancor più di quella del Giudizio Universale, possa guidare la nostra attesa del Natale e l’intero nostro anno liturgico che inizia con la prima domenica Avvento.
Ascolteremo la Parola per un anno intero, cercando di esserle fedeli e di comprenderla in profondità. Per capirla davvero, qualche volta penseremo di dover salire fino in cielo; altre volte, invece, crederemo di dover scendere in chissà quale abisso della nostra coscienza. Queste opere di Giovanni di Paolo ci aiutano a rimetterci al nostro posto, quello della nostra vita meravigliosamente ordinaria, nella quale scopriamo questa Parola come molto vicina a noi. Come ci ricorda il Deuteronomio: «È nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30,14). È il Signore che ci rassicura con la sua venuta. Alla fine del nostro percorso, allora – che sia il Natale di Gesù, la fine di un anno liturgico o il compimento del nostro itinerario terreno –, la valutazione del nostro cammino non sarà né la sapienza né le conoscenze che avremo acquisito: la vera misura sarà quella della piccolezza. Quella piccolezza e semplicità evangelica che – come insegnava Ignazio di Loyola – «non si lasciano costringere da ciò che è grande e si lasciano contenere da ciò che è piccolo», che sanno tradurre il Vangelo in gesti quotidiani, ordinari, che sanno di pane e di casa. Se riconosceremo la Parola mischiata ai nostri giorni e non altrove, se sapremo scorgere il grande nel piccolo, saremo anche noi coinvolti in quel misterioso incontro che è la relazione tra il Padre e il Figlio: questa è la nostra destinazione.
Buon cammino di Avvento!